Ho ventisette anni e fino a ventitre non mi sarei fatto fare un pompino neanche sotto tortura.
Fino ad allora, le poche volte che succedeva era una concessione, un evento consequenziale che avrei ridotto ad una manciata di secondi poco piacevoli da concludere il prima possibile.
Preferivo stare dal lato opposto e concentrarmi sul membro dell’altro: di volta in volta era un esperimento, una partita dalle conclusioni imprevedibili.
Mi affascinava scoprire i punti deboli, notare come quello che piaceva a qualcuno infastidisse un altro, come un semplice organo di struttura cilindrica potesse provocare reazioni diverse a distanza di un millimetro.
Mi affascinava che dipendesse da me e fosse in funzione dei miei movimenti.
Per riceverlo avrei dovuto non solo conoscere meglio il mio corpo con le sue zone erogene, ma anche permettermi di perdere il controllo e affidarmi alle mani altrui.
Quando mi innamorai per la prima volta, l’esperimento lasciò spazio alla devozione: volevo che in quel momento fosse il ragazzo più felice del mondo.
Soddisfarlo era una prova d’ammissione.
Volevo farlo godere ma soprattutto garantirmi un contratto d’affetto a tempo indeterminato.
Una sera si addormentò mentre gli tenevo il membro in bocca e il mio cuore esplose in mille minuscoli pezzettini sparsi per la stanza: mi sentivo come quei cani che si impegnano così tanto a portare degli uccellini morti sullo zerbino e il padrone inorridito li scaccia via con la scopa.
Che umiliazione, che lavoro sprecato.
Con gli anni, tra esperimento e devozione, sono diventato anche pigro: perché dovrei? Meriti davvero tutto questo impegno da parte mia? La fellatio è un lavoro (non a caso, in inglese si dice blow job), un investimento di tempo che devo veramente avere voglia di dedicarti, e questo può dipendere da mille congiunzioni del caso: il bisogno di impegnarmi in qualcosa, l’esigenza di concentrare energie che potrei concentrare in un corso di ceramica.
È stato in quel momento che ho scoperto il piacere di stare dal lato opposto: il piacere di ricevere quel trattamento e fidarmi della capacità altrui di farmi stare bene.
Eppure ogni volta che una persona ha voglia di dedicarmi una fellatio c’è sempre una parte di me che si chiede perché. Perché ti diverte dedicarmi tutto questo impegno, senza chiedere nulla in cambio, per il piacere di farlo? Chi te lo fa fare?
Ho notato che il sesso orale genera gioia o remore a seconda delle parti coinvolte: ci sono uomini che per ricevere o fare un deepthroat venderebbero la nonna al mercato nero. Ma alcune mie amiche inorridiscono al pensiero.
Se due uomini gay giocano un ruolo paritario durante il rapporto, il potere e il controllo esercitato da un uomo su una donna porta con sé anche tutte le implicazioni sociali e culturali del caso: perché quell’organo è anche simbolo di un machismo tossico e dominante, abituato a disporre il potere su una scala gerarchica, tra chi ha il pisello e chi non ce l’ha.
Sono felicissimo se la mia migliore amica vive un deepthroat senza remore, libera e svincolata dallo sguardo maschile, inginocchiandosi tra le gambe di un uomo non come succube del patriarcato, ma in quanto essere umano libero di provare e dare piacere come vuole lei, in pieno controllo dei suoi desideri. Al contempo, non la biasimo se si sente triggerata dall’imperante privilegio di una cultura maschilista e fallocentrica.
Non a caso, anche questa volta abbiamo messo al centro della conversazione il cazzo, come se parlare di sesso orale abbia sempre e comunque a che fare con un bocchino.
Le mie amiche mi raccontano che se vuoi imparare a succhiare un pene esistono una lista di tutorial infiniti che ti spiegano filo e per segno cosa fare, ma se vuoi leccare una vagina volano le balle di fieno.
“All’inizio pensavo che non sarei mai riuscita a farlo” mi racconta questa amica sulla prima volta che ha ricevuto del sesso orale “Pensavo che se è così difficile far godere me, non oso immaginare farlo per un’altra”.
Mi racconta che quando faceva un pompino agli uomini si sentiva tranquilla: riconosceva subito quello che doveva fare e le reazioni del corpo erano chiare e automatiche per ognuno.
Quando praticava sesso orale ad un’altra donna non c’era una reazione univoca e riconoscibile per tutte, doveva approcciarsi in una maniera nuova, e qualche paranoia in più.
La sua compagna, d’altro canto, mi dice che all’inizio non voleva fare sesso orale perché temeva che la sua vagina fosse brutta. Le scattava un confronto naturale e un’ansia di giudizio che con gli uomini, mi dice, non si è mai creata.
Ma come la metti, anche in un momento in cui dovremmo concentrarci sul piacere dell’altro, ci siamo di nuovo al centro noi con le nostre idiosincrasie, insicurezze, il bisogno di sentirci dire che siamo bravi, che non siamo di meno, la conferma che all’altro sia piaciuto.
L’atto d’amore diventa una performance nella speranza di una standing ovation.
Per liberarcene, dovremmo provare con un po’ di fiducia.
Nel togliere la bocca da lì sotto e usarla per chiedere, comunicare all’altro come ci sentiamo, confrontarci con il rischio di apparire vulnerabili.
Senza peli sulla lingua.
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molto ben fatto!!!