A quasi due anni e mezzo dal trionfo sanremese, inatteso e travolgente, Mahmood è tornato. Nella notte è uscito Ghettolimpo, suo secondo disco in cui Alessandro racconta proprio il lato oscuro di un successo che ha rischiato di divorarlo. Il cantante ne ha parlato con Mattia Marzì de IlMessaggero, tornando anche ad affrontare il tema ‘coming out’.
Vivo ancora in affitto a Gratosoglio. Nell’album spiego come i ricordi d’infanzia mi hanno tenuto al riparo da un successo imprevisto: Dai rimasugli della linga araba alla mitologia greca, che mi affascinava. Ho avuto problemi di identità, non mi riconoscevo più allo specchio e nelle foto. Sulla copertina dell’album riprendo il mito di Narciso, ma riflesso nell’acqua c’è un mostro.
Mahmood confessa di aver ‘toccato il fondo’ durante la quarantena (“Umore a terra, ispirazione pura“), per poi ritrovare la voglia di scrivere la scorsa estate, in Toscana. “Le canzoni raccontano il percorso che ho fatto per tornare a riconoscermi“, insiste Mahmood, che rivela di aver detto no “a qualche duetto e ai talent che mi volevano come giudice“. Se T’amo abbraccia la lingua sarda in omaggio all’amata mamma (“devo tutto a lei, abbiamo vissuto e superato insieme le stesse difficoltà“), Rubini cantata insieme ad Elisa è invece un inno alla diversità. “Parla della mia adolescenza difficile. A scuola mi bullizzavano perché diverso. Mi sono battuto tanto per il DDL Zan. So cosa significa sentirsi offesi“.
Chiusura di intervista sull’ormai tristemente celebre monologo di Pio e Amedeo contro il politically correct (“Non l’ho neanche guardato“) e soprattutto sull’importanza del coming out al giorno d’oggi. Nel 2019, alla vigilia dell’Eurovision in cui arrivò secondo, Alessandro scatenò un polverone con queste dichiarazioni: “Non vale per tutti, ma sono cresciuto in una società in cui i ragazzi più giovani come me hanno una mentalità aperta sulla sessualità. Ho un sacco di amici e parlando con loro mi dicono che non è un problema. Etichettare qualcuno al giorno d’oggi è come tornare indietro, al passato, perché quando etichetti dividi e crei distanze tra le persone. Io credo nell’unire le persone e nel celebrare le differenze. Credo che le etichette non siano buone per un artista o per chiunque altro“.
Passati due anni, Mahmood archivia così la polemica: “Dissi che è inutile farlo a scopo promozionale: venni frainteso. Sul tema ho deciso di non dire più niente“.
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