Tra una settimana Mahmood prenderà parte alla finalissima dell’Eurovision 2019, in rappresentanza dell’Italia. A sette giorni dalla diretta, l’ultimo vincitore del Festival di Sanremo è sbarcato a Tel Aviv per le immancabili prove, con tanto di febbre e un’infezione alla gola, concedendosi la prima conferenza stampa ufficiale.
Ed è qui che un giornalista australiano gli ha chiesto un parere sulle ‘etichette’, come gay ed etero, che vengono utilizzate per descrivere la sessualità delle persone. Mahmood, che già in passato aveva fatto discutere con alcune dichiarazioni nei confronti del coming out, ha preso posizione.
Non vale per tutti, ma sono cresciuto in una società in cui i ragazzi più giovani come me hanno una mentalità aperta sulla sessualità. Ho un sacco di amici e parlando con loro mi dicono che non è un problema. Etichettare qualcuno al giorno d’oggi è come tornare indietro, al passato, perché quando etichetti dividi e crei distanze tra le persone. Io credo nell’unire le persone e nel celebrare le differenze. Credo che le etichette non siano buone per un artista o per chiunque altro.
Parole condivisibili e al tempo stesso criticabili. Mahmood continua a sostenere che la sua generazioni non conosca ‘differenze’, fingendo evidentemente di non conoscere tutti quegli episodi di omofobia e bullismo che spesso riguardano proprio i più giovanissimi. Alessandro, questo il suo nome, dovrebbe forse uscire da quella ‘bolla LGBT’ milanese, invidiabile ma di fatto lontana dalla realtà del resto d’Italia. Perché l’Italia non è Milano, così inclusiva e sempre più friendly, bensì altro, e a raccontarlo è la pura e semplice cronaca quotidiana.
Vivessimo in un mondo normale, le ‘etichette’ potrebbero anche finire in archivio, ma non viviamo in un mondo normale e continuare a sostenere tale fantascientifica tesi non aiuta. E non tanto noi, gay dichiarati che vivono la propria omosessualità alla luce del sole, bensì tutti quei ragazzini e adulti timorosi, impauriti dalla verità, vessati a scuola, in famiglia, sul posto di lavoro, che si sentono inspiegabilmente raccontare un’Italia lontana dalla realtà.