Cosa dirà Mahmood il 17 Maggio al Fabrique di Milano durante il suo concerto che si terrà proprio il giorno internazionale della lotta all’omobitransfobia?
Me l’ha chiesto la mia amica Giada l’altra sera, stavamo bevendo gin-tonic qui a Milano, al Picchio, via Melzo, zona Porta Venezia, a pochi metri dal Love (il locale citato da Alessandro in”Rapide”, e dove M. sbarcava il lunario facendo il Dj alla sera) e lei mi ha inchiodata. “Snob com’è, quello non dirà nulla, vedrai… il puzzone” mi fa la mia amichetta str0nza, ben sapendo che sotto sotto non potevo non essere d’accordo con lei.
Insomma, sono una fan di Mahmood dall’inizio, conosco la sua reticenza alla didascalia spiegata per bene, sono perfettamente cosciente della sua allergia all’etichetta, e su questo sito abbiamo sempre difeso quel modo di alzare l’asticella, affidando alla sostanza quel che tanti altri si intestano nella forma. Mahmood manda avanti le canzoni e le sue performance sul palco: è così da sempre. Eppure, in questa nuova veste di totale empatia grazie alla quale sta sbancando mezza Europa con i suoi sold out ovunque, con Tuta Gold tormentone dell’anno (geniali i ragazzini di Nairobi che replicano la coreografia) forse Mahmood vorrà dire qualcosa in quella giornata in cui celebriamo la lotta all’odio contro le persone LGBTIAQ+?
Ora, non c’è nulla di peggio che tirare per la giacchetta un artista che stimi. Tuttavia lo spunto di Giada mi ha messa in crisi: scrivere o non scrivere questo pezzo? Rompere o non rompere le scatole all’artista il quale, magari chissà?, non ha alcuna voglia di accodarsi alle mille bandierine prevedibili quel giorno, oppure – non sai mai – Mahmood ha già organizzato una rivolta queer per il 17 Maggio e dal Fabrique partiremo in corteo alla conquista di Milano fino a mettere a ferro e fuoco il palazzo della Regione occupato dai fascisti (certo, credici).
Mahmood nel nuovo album “Nel letto degli altri“, fuori da appena due mesi – ha già fatto quel che finora in Italia nessun artista musicale di prima grandezza e popolarità aveva mai fatto: ha portato l’amore gay nel mainstream. Anche Mengoni nella canzone con Mace ha di recente cantato (magnificamente) una strofa chiaramente rivolta a un uomo.
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Ma per la mia amica Giada (una di quelle amiche lesbiche che ogni pie’ sospinto ti riportano sotto gli occhi la cruda realtà di questo mondo di maschi padroni) pubblicare canzoni farcite d’amore omo non è sufficiente. Dice Giada che la nostra star non può e non deve parlare soltanto con le canzoni. Dice Giada che Alessandro deve prendere in mano la sua carica politica “Ricordati che ha stracciato Salvini e Ultimo con un’alzata di sopracciglio, quello non si muove, ma se si muove stende tutti” dice Giada sgranocchiando patatine.
@mahmood E TU STAJE BALLANNO DINT’Ô CLUB #mahmood #tour ♬ suono originale – Mahmood
Confesso sottovoce, hic et hunc su Gay.it, che io AMEREI che il nostro non facesse proprio nulla quel giorno e f4ncul0 alla mia amica Giada! Ora, difficilmente egli non spenderà qualche parolina, sarebbe troppo clamoroso (per il Ddl Zan fece, in buona fede, un mezzo patatrac). Ma non credo che Mahmood abbia bisogno di gesti eclatanti, né di rispettare canoni da calendario, per dimostrare che il suo carisma artistico sta incidendo, eccome, sui grandi temi dell’inclusione.
Il potenziale politico di Mahmood è nel non detto, è nel non conclamato. La sua battaglia è la mescolanza delle posizioni, è il travalicamento dei confini d’ogni sorta. È la destrutturazione dello stereotipo da dentro. Mahmood è la serpe in seno al maschio tossico. È la sfumatura dei grandi narratori che, come la goccia, scava la roccia: spiegatelo a Meloni. E alla mia amica Giada!
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L'amica citata è simpatica come certi utenti di X e Instagram che hanno sempre qualcosa da ridire contro questo ragazzo e non so se mi urta di più il tono della prima frase o il reiterato femminile al posto del maschile. Un passivo-aggressivo degno di un qualunque thread social in cui Mahmood si prende - totalmente aggratis - le offese più becere, vengano esse da uomini dolorosamente omofobi o da componenti stessi della community LGBTQA+. Alla luce di ciò, mi chiedo a che servano articoli del genere dove qualsiasi complimento è sempre annacquato da una velata strigliata di capo o da una tirata di giacchetta. Lei stessa dice di conoscere bene i motivi per cui Mahmood rifugge le etichette a beneficio di un'espressione artistica che è ed è sempre stata sincera e non fraintendibile, e allora non si può cominciare da qui? Non si può riconoscergli almeno questo, come Lei fa qui e ha fatto nell'articolo di recensione all'album, senza tutte le frecciatine di corollario? Così, giusto per empatia.