Adesso i gay sono isolati

Il risultato del voto impone delle serie riflessioni, comprese quelle sull'isolamento del movimento gay. Bisogna che qualcosa cambi davvero. E che inizi un dialogo col centrodestra.

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4 min. di lettura

In 39 anni di età non mi era mai successo di terminare una giornata elettorale spegnendo la tv alle 7 e di non riaccenderla più per tutta la notte, cedendo solo la mattina dopo di fronte all’edicola, con l’acquisto dei quotidiani.

La batosta elettorale per chi come me ha il suo cuore a sinistra è pesante, cocente ed inesorabile. Gli scenari che si aprono di fronte sono così completamente diversi rispetto a quelli che solo nella peggiore delle ipotesi potevamo immaginare, che richiedono una riflessione lucida, seria e profonda sulle strade che abbiamo di fronte e sulla situazione nuova che si è creata.

La prima considerazione è che questa Italia che ci viene consegnata dal responso elettorale è un’Italia caratterizzata non soltanto da una schiacciante maggioranza di centrodestra, e dentro questa da una schiacciante vittoria di una delle forze politiche più omofobe che ci sono in Europa e cioè della Lega Nord, ma anche dall’assenza di una sinistra radicale a cui larga parte del popolo lgbt italiano aveva da anni guardato con tanto interesse. E’ anche un’ Italia questa dove solamente un rappresentante della comunità lgbt siede in parlamento ed è Paola Concia, una capace politica che si è abilmente smarcata dalle pastoie del movimento gay e si è fatta candidare nelle file del Partito Democratico che l’ha eletta.

La seconda considerazione è che ancora più di ieri oggi si sente l’assoluta e inderogabile necessità che il movimento lgbt inizi a parlare col centrodestra italiano. Questa è forse la più importante delle riflessioni che oggi si impongono. Se difatti i primi interessi da tutelare sono i diritti dei gay e delle lesbiche del paese è inserobaile che questo processo politico accada.
Sia chiaro: chi vi parla non ha alcuna intenzione di cambiare sponda, nè è neppure necessario che altri esponenti della comunità lgbt si schierino nelle file di quei partiti. È però urgente che, proprio in virtù di quell’autonomia della politica su cui Arcigay ha fatto il suo ultimo congresso nazionale, le associazioni lgbt italiane inizino un dialogo franco, alla pari, con i dirigenti politici del centrodestra più avvicinabili, per premiare quanti al loro interno non sono omofobi e per far si che chi lo è faccia meno danni possibili. È chiaro che non ci possiamo aspettare grandi cose dal governo che da oggi a qualche settimana sarà formato. Per le unioni civili o qualsiasi altra forma di riconoscimento delle nostre coppie bisognerà aspettare almeno cinque anni ed è quasi ormai certo che l’Italia sarà l’ultimo paese della vecchia Europa a dotarsi di una legge in questo senso, ma un dialogo sarà comunque necessario perché le posizioni omofobe della Lega sulle nostre questioni non vincano: perchè le nostre possibilità di aggregazione siano garantite e magari qualche piccolo risultato possa essere raggiunto come l’estensione della legge Mancino contro il razzismo omofobo su cui c’è una richiesta sempre più pressante da parte della Comunità europea cui il governo italiano, dunque, difficilmente potrà evitare di rispondere.

La terza considerazione è una constatazione: mai come prima il movimento lgbt italiano è politicamente isolato. Lo è perché i nostri dirigenti hanno fatto altre scelte, provando in massa a farsi candidare nelle file della Sinistra arcobaleno che non è riuscita ad ottenere né un deputato né un senatore. Lo è perché le posizioni che questo ha assunto – come quella sul matrimonio gay – sono ad oggi così impensabili da raggiungere, da farci scomparire politicamente. Lo è perchè autorevoli dirigenti dell’associazionismo lgbt hanno fatto campagna elettorale contro il Partito Democratico, arrivando – come nel caso del presidente dell’Arcigay di Firenze – a strappare la tessera a pochi giorni dal voto pur di finire sulle pagine dei quotidiani nazionali. Il dato certo è che abbiamo un solo referente nel Parlamento e questo oltre che dannoso è fortemente pericoloso. È necessario quindi che il movimento lgbt riveda le proprie posizioni radicali, da duri e puri, capendo che non è più il tempo dell’isolamento politico ma che, se l’obiettivo dovrà essere il raggiungimento di risultati concreti di gay e lesbiche e non le carriere politiche di questo o quel dirigente, è necessario cambiare radicalmente rotta.

La quarta considerazione è che è stato un grave errore tagliare i ponti e non allacciare i giusti rapporti con quella che è la più grande forza riformista che l’Italia abbia mai conosciuto che è il PD. Con tutti i "ma" e con i "se", nonostante la Binetti e Del Vecchio, il PD  è un partito che ci ha ascoltato, che ha fatto candidare e eleggere Paola Concia, che ha detto cose chiare sui diritti civili, che ha bacchettato questo o quel dirigente non in linea col programma, che ha accolto i radicali nelle proprie file, che localmente dà sostegno e finanziamenti alle associazioni lgbt. Oggi quindi, il movimento lgbt non può non aprire una grande stagione di dialogo e di incontro con quel partito: se l’hanno fatto i Radicali, del resto, perchè non possiamo farlo noi? Non farlo di nuovo sarebbe un gravissimo errore che ci porterebbe ad un più forte isolamento politico e culturale.

La quinta ed ultima considerazione è che non ci sono uomini per tutte le stagioni e cioè che le persone che ci hanno condotto al punto più forte di isolamento politico che il movimento lgbt in Italia abbia mai avuto dagli anni 70 – gli stessi che sbraitavano sulla pagine delle riviste gay contro chi aveva scelto di stare dentro il Pd o che inneggiavano sui siti internet a votare Partito Socialista e Sinistra arcobaleno, due partiti che insieme fanno poco più del 4%,, non possono essere gli stessi che guidano questa nuova fase che oggi è sempre più necessaria. Come il centrosinista italiano ha cambiato radicalmente pelle in questi anni e cambiato dirigenti, credo che i responsabili di questo grande disastro politico non ne possano non prendere atto e lasciare il posto a nuove generazioni di dirigenti politici del movimento. Ma sarà difficile che questo accada: purtroppo nel movimento gay non si vota.

Alessio De Giorgi
Direttore di Gay.it

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