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Anna Bassy e il suo viaggio nella musica: “Cerchiamo di distrarci per non affrontare il buio intorno a noi” – Intervista

La giovane cantante italo-nigeriana si racconta a Gay.it

Anna Bassy Gay.it
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Soul, funk, un po’ di R&B, ma anche pop ed elettronica. Un mix di sound che rende Anna Bassy una scoperta decisamente interessante. La giovane cantante italo-nigeriana è appena tornata con il suo secondo EP, Genesi, anticipato dal singolo Lulla-bye.

Come il precedente Monsters, anche questo secondo album è un racconto intimo pieno di emozioni forti, in cui Anna Bassy racconta la sua generazione, ma anche le sue origini e il suo viaggio alla scoperta delle radici in Nigeria. Un’artista dal respiro internazionale che ha raccontato a Gay.it la sua passione per la musica e i temi contemporanei che le stanno più a cuore.

 

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Come è nata la tua passione per la musica?

Di preciso non lo so. Non ci sono musicisti/e nella mia famiglia e la musica non si ascoltava nemmeno più di tanto in casa, però ho dei ricordi musicali legati ai viaggi in macchina, o dei momenti passati insieme a una zia che mi accudiva mentre mia mamma era al lavoro; lei cantava in ogni momento, con gioia. O le canzoni delle recite a scuola. Cose piccole, cose semplici, che mi facevano stare bene e mi facevano venir voglia di “creare”.

Dove scrivi? Nel senso: ci racconteresti una situazione tipo in cui metti giù versi e canzoni?

A volte scrivo di getto, al piano o alla chitarra, melodia e parole arrivano insieme e nel giro di qualche ora il brano è finito. Altre volte mi serve più tempo e quindi le idee nascono mentre sono in macchina, o camminando in un bosco o lungo il lago. Ecco, stare in un contesto naturale è una fonte di ispirazione fortissima. Altre volte le idee nascono tra il sonno e la veglia e devo costringermi ad alzarmi dal letto per fissarle o appuntarmi qualche nota. E questo è lo scenario che temo di più: per prima cosa mi piace dormire e alzarmi nel mezzo della notte per me è una vera sfida. E poi in questi casi il brano è praticamente già pronto nella mia testa, ma è difficile riuscire a ritrovarlo a mente lucida.

Nei tuoi brani ascoltiamo soul, funk e qualcosa di RnB. Come hai trovato questi suoni? Ti hanno trovata loro?

Li ho incontrati probabilmente per caso. E poi ci sono rimasta, perché lì mi sentivo a casa. Lì, sentivo di poter esprimere una parte di me che non potevo esprimere in altro modo, che non vedevo in nessun altro posto.

Come hai intrecciato le tue origini, l’Italia e la Nigeria, nella tua arte? È un viaggio ancora in corso?

Avevo voglia di scoprirmi, avevo bisogno di ritrovare tutto ciò che è parte di me, mettere insieme i tanti pezzi che mi compongono e quindi mi sono messa alla ricerca. Lo sono tuttora, mi lascio guidare da questa necessità. E poi quando canto, quando scrivo, lascio che esca tutto ciò che sono. Credo l’intreccio sia spontaneo.

Sia “Monsters” che “Genesi” sono album molto intimi, pieni di emozioni forti e vere. Questo tuo metterti a nudo va un po’ contro la tendenza attuale, cosa pensi del persistente narcisismo di quest’epoca di social network?

Penso derivi dalla necessità che ha ogni persona di sentirsi vista, ascoltata, meno sola, forse? E questo è legittimo, solo che siamo arrivati a pensare che ci meritiamo di essere visti solo se siamo più bravi, più sorprendenti, più performanti degli altri. Vogliamo essere di più, più degli altri almeno. Io non sono immune a tutto ciò, ancora ho un rapporto a volte conflittuale con i social network. Pur riconoscendo il loro potenziale comunicativo, temo infatti che ci distolgano da ciò che ha veramente importanza e che ci portino a non essere del tutto sinceri. Per questo cerco di far parlare principalmente la musica, è ciò che c’è di più vicino alla verità per me.

Sui social dilagano anche omotransfobia e razzismo, ma questi sono uno specchio di ciò che succede nella realtà, tutti i giorni nelle nostre città. Cosa ti spaventa di più di questa società contemporanea?

Il frastuono, la sovrabbondanza di stimoli che creiamo e in cui ci immergiamo. È come se cercassimo in tutti i modi di distrarci, per non affrontare il buio che sta attorno a noi e anche dentro di noi.

Qual è, secondo te, la strada per provare a eliminare la discriminazione, sia essa per l’orientamento sessuale o il colore della pelle?

Mettersi in ascolto, di chi ci sta di fronte. Credo sia essenziale per superare la paura, la “non comprensione” della diversità. Ci accorgeremmo che in fondo stiamo dicendo le stesse cose, abbiamo gli stessi desideri profondi. E poi concederci di essere vulnerabili, di riconoscerci incompleti (intendo “non finiti” / definiti e quindi sempre in ricerca), per dare spazio all’altro da noi.

Cosa significa per te la parola “inclusione”?

Guardarsi intorno e vedersi rappresentati, ma ancora di più, sentirsi riconosciuti.

Come immagini il futuro?

Mi preoccupa un po’. Ci stiamo ancora facendo le guerre.

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