Ritengo si possano dividere le persone che frequentano le chat in due categorie: quelli che cercano un incontro e quelli che non lo cercano. Una ripartizione elementare legata a una considerazione di fondo del "virtuale": per qualcuno costituisce un ponte verso il mondo reale mentre per altri va bene così com’è e non ha bisogno di "giustificare" la propria esistenza.
Alla prima categoria non appartiene solo chi cerca avventure da consumare velocemente e senza implicazioni future con la prima persona disponibile. Capita infatti che nascano amicizie e relazioni di ogni tipo, a riprova del fatto che il sesso non è sempre il motore unico di un incontro, quantomeno non nell’immediato e per coloro che preferiscono sentirsi sicuri di chi hanno di fronte e quindi prendono tempo. A volte molto tempo.
Lasciando a ognuno le considerazioni su quanto si possa realmente scoprire di una persona limitandosi a battere le dita sulla tastiera, ribadisco comunque che, tanto i grafomani sognatori più incalliti quanto chi si butta alle due di notte su internet a caccia di una sveltina, appartengono comunque alla stessa categoria, quella di chi considera il virtuale un mezzo per poi giungere a una conoscenza reale. Al contrario di chi, a priori, non ha alcun interessa a che ciò avvenga.
Come quelli, ad esempio, che si limitano a distrarsi scambiando quattro chiacchiere con persone di altre città o Paesi. Conversazioni anche vivaci ma che a me comunicano un retrogusto asettico, a tratti surreale. Come quando, a un ragazzo del Ghana che mi scrisse "Hello", risposi "Hello". Dopo qualche giorno mi scrisse nuovamente "Hello", obbligandomi a replicare ancora "Hello". Al suo terzo "Hello" consecutivo, mi ricordai del perché in genere non prendo in considerazione quelli che vivono all’estero (a meno che non stiano programmando un viaggio nella mia città).
Per carità, da qualunque cosa può nascere qualcosa, non ci è dato preconizzare il futuro, però preferisco cedere questo genere di conoscenze ad altri: a chi ama collezionare amici per il mondo o a chi si eccita a giocare con la cam, magari anche dopo i quaranta anni. Per quanto, tra quelli che non cercano un incontro reale, i più fastidiosi in assoluto non siano i lontani e laconici amici africani e nemmeno gli eterni adolescenti sporcaccioni, bensì certi vicini e assai prolissi "impostori" del sesso.
Parlo di quelli che ti sommergono di domande intime senza mai andare al sodo, succhiando come parassiti il tuo tempo e mettendo a dura prova la tua educazione con domande intime di ogni tipo, spesso per nulla eccitanti ma che, evidentemente, a loro comunicano più emozioni di qualunque incontro dal vivo. Magari sono solo degli inguaribili timidi e non dovrei biasimarli a tal punto, ma sono tanto molesti nel loro egoistico incollarti al computer e talvolta anche al telefono (ovviamente a carico loro) e talmente insistenti nel programmare l’incontro fin nei minimi dettagli, quanto poi abili nel dissolversi nel nulla, che non mi pare il caso di porsi troppe remore.
Di tutti questi cialtroni della chat, poi, i peggiori in assoluto sono quella sottospecie di "slave" casarecci, finti camerieri e servitori, interessati (a parole), più che a un rapporto fisico, a una sottomissione psicologica con allegate mansioni di servizio. Ovviamente, già una proposta simile dovrebbe far sorgere qualche dubbio, però, dato che non pongo limiti alle fantasie, mi è capitato più volte di discutere i termini della questione. Per quanto non provassi alcun sussulto nell’obbligare qualcuno a spolverare in mia vece, pure la cosa poteva tornarmi utile. Senza omettere che alcuni si dichiarano perfino disposti a pagare per fornire tali prestazioni.
L’idea di un padrone severo che con ordini vistosi ed eloquenti ramanzine impone di lustrare a fondo la sua abitazione e che alla fine va pure ricompensato per il privilegio offerto, pare ecciti più di una persona. Fatto sta che, tutte le volte, a queste conversazioni dettagliatissime, non ha mai fatto seguito nulla di concreto. Segno forse che si tratta soltanto di un desiderio, da coltivare con cura ma da non realizzare mai, per poterlo mantenere sempre acceso. Una fantasticheria della mente con cui sollazzarsi, nel calduccio del letto o perfino su un freddo pavimento. Ma a casa propria.
Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista "dall’interno", e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.
Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso.
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