Teddy Awards, trionfa ‘The Way He Looks’ e ‘Il cerchio’ batte Amelio

A Berlino vince la commedia brasiliana di Daniel Ribeiro su un ragazzo cieco. 'Felice chi è diverso' messo sotto scacco dallo svizzero 'Der Kreis' che si aggiudica anche il premio del pubblico.

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Vince il paradosso. Eccovi servito, e già digerito, un bel Festival di Berlino poor-deluxe-extreme, in cui l’effetto forbice della crisi internazionale tutt’altro che superata è sempre più evidente con ricchi sempre più ricchi in Super Palazzi sfacciatamente Haut de Gamme-Privilège-Premium (vedi la creatività balzana di Grand Hotel Budapest di Wes Anderson, Gran Premio della Giuria, con vecchia maliarda – Tilda Swinton ‘aristoldie’ – assassinata tra stucchi e suite totali) e poveri sempre più poveri e soli – i commoventi bimbi del tedesco ‘Jack’ – ma non necessariamente disperati se filosofi zen, come nel film-shock più borderline, ‘Journey to The West’ di Tsai Ming-Liang, inquadrature fisse di 6-15 minuti di un monaco lumaca che cammina per Marsiglia in iper-ralenti, uno stepbystep estenuante seguito da Denis Lavant muto: una provocazione obsoleta contro i ritmi occidentali/consumistici/hollywoodiani (si vedano i magistrali piani sequenza di Béla Tarr o le derive contemplative alla Sharunas Bartas, per ammirarne la bella copia). Una pericolosa involuzione del grande autore taiwanese, una minaccia per il pubblico sotto scacco tra ipnosi e sonore russate: “Quanto è lungo?”; “Ma è tutto così?”; “Non ci posso credere…”. Tranquilli, un pregio ce l’ha: dura solo un’ora.

E anche per quanto riguarda il cinema queer siamo al paradosso: Gianni Amelio poteva vincere, aveva già il Teddy Award in tasca, quando uno sgambetto inatteso l’ha fatto desistere. L’elaborato – e molto bello – ‘Der Kreis’ (‘Il cerchio’) di Stefan Haupt, più finzione che doc, doveva aggiudicarsi il prestigioso riconoscimento nella categoria dei lunghi narrativi ma, un po’ a sorpresa, ha vinto come miglior doc e così ha soffiato l’Orsetto Gay all’intenso ‘Felice chi è diverso’ (forse troppo tradizionale, comunque, come impiantito formale, per la giuria berlinese) che se ne torna in Italia a mani vuote. Peccato. Ma la magia fatata de ‘Il cerchio’, vincitore anche del premio del pubblico nella sezione Panorama, colpisce al cuore perché rielabora ciò che c’è di più nevralgico nel cinema contemporaneo, ossia la rappresentazione del cosiddetto cinema del reale in continua dialettica con gli stilemi della finzione, grazie anche alla vera coppia gay anziana Ernst-Röbi (altro trend: ‘Love Is Strange’ di Ira Sachs con Alfred Molina e John Lithgow neosposi senza casa è stato tra i più applauditi) in confronto diretto con gli attori che li impersonano, i valenti Matthias Hungerbühler e Sven Schelker, tutti sul palco con la leggendaria Marianne Sägebrecht di ‘Bagdad Cafè’ che qui è la mamma di Röbi, dolce e commovente, e ci svela che il suo legame con la comunità queer è semplice: nella sua famiglia sono quasi tutti gay! E il cerchio si chiude.

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“Un film che riflette sulla storia personale Queer nella metà del XX secolo in Svizzera – spiegano i giurati Ellen Becht, Julian David Correa, Ana David, Oscar Eriksson, Masha Godovannaya, Lucia Kajankova, Dave Kim, Andrew Murphy e Marten Rabarts – mettendo in luce la necessità e l’urgenza di resistere e confrontarsi con l’omofobia che prolifera in tutto il pianeta”.
Altro paradosso: in mezzo a questo gagliardo geronto-cinemondo illuminato vince il buio. Ossia lo sguardo impossibile, perché cieco dalla nascita, del tenero protagonista del giovanilista ‘The Way He Looks’ (il titolo originale è ‘Hoje Eu Quero Voltar Sozinho’ che significa ‘Oggi voglio tornare da solo’) diretto dal brasiliano Daniel Ribeiro che si aggiudica il Fipresci della critica e il Teddy Award come miglior lungometraggio di finzione. Pensate che il corto da cui è stato sviluppato, ‘Oggi non voglio tornare da solo’, è il video con più contatti in assoluto degli ultimi anni proprio qui, su Gay.it (lo trovate qua ). La motivazione parla di “un debutto gioioso da un regista che combina una grande sceneggiatura, caratterizzazione, performance, fotografia e musica per consegnarci un film che vola sopra il genere ben esplorato del viaggio verso la maturità, dandoci un nuovo significato del vecchio detto ‘l’amore è cieco’”. Cieco. Come l’attacco geniale – poco più di un minuto di nero con suoni naturali elaboratissimi – dell’unico, vero capolavoro del festival, ‘Nymphomaniac – Volume Uno – Director’s Cut’ di Lars Von Trier, probabilmente il film più innovativo degli ultimi dieci anni, opera totale su bene-controllo-dipendenza- male-matematica-morte-musica-piacere-potere-sesso, il nuovo cinema del futuro di cui abbiamo sempre più voglia di vedere, stimolante e provocatorio, mai consolante e ipnotizzante a livelli superiori. Non vogliamo più chiudere gli occhi. Contro l’omofobia e la brutta settima arte. E il Festival di Berlino è sempre più un osservatorio privilegiato a questo proposito, un’oasi felice per gay e lesbiche: tanto per dire, solo nel tragitto tra Friedrichshein all’elegante Hotel Hyatt dove sono dislocati i servizi della stampa, incontravo in media tre coppie gay abbracciate o mano per mano e quotidianamente la rivista Siegessäule proponeva una quarantina di appuntamenti/eventi per la comunità queer.
Dimenticavo: il cinema orientale ha sbancato. l’Orso d’Oro è andato a un noir cinese, ‘Black coal, thin ice’ di Diao Hinan, premiato anche come miglior attore a Liao Fan. L’attrice più brava è Chiisai Ouchi per ‘La casetta’ di Yoji Yamada, la fotografia è andata a Zeng Jian per ‘Massaggio cieco’. Miglior regista Richard Linklater per il progetto durato 12 anni ‘Boyhood’ (riprese in tempo reale della crescita di un ragazzo), il grande favorito all’Orso d’Oro. I tedeschi si consolano con la migliore sceneggiatura andata a Dietrich e Anna Brüggemann per ‘Kreuzweg’ diretto dal primo.

Il 91enne Alain Resnais vince infine l’Orso d’Argento Alfred Bauer per ‘Aimer, boire et chanter’ come “film che apre nuove prospettive”. Sì, che il grandissimo Resnais giri film per altri dieci anni. La fiducia gliela diamo. Al buio.

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