Torna la rabbia di Pasolini… più viva che mai

Torna nelle sale "La Rabbia", il controverso doc di Pasolini con un'ipotesi di ricostruzione delle parti tagliate e alcune integrazioni. Lo firma Giuseppe Bertolucci da un'idea di Tatti Sanguineti.

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«È un film tratto da materiale di repertorio (novantamila metri di pellicola: il materiale cioè di circa sei anni di vita di un settimanale cinematografico, ora estinto). Un’opera giornalistica, dunque, più che creativa. Un saggio più che un racconto».

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Così Pier Paolo Pasolini definiva lo sperimentale La Rabbia, travagliato documentario sui principali eventi degli anni ’50 e ’60 con voce in poesia di Giorgio Bassani e voce in prosa di Renato Guttuso, realizzato su commissione per un piccolo produttore, Gastone Ferranti, direttore del cinegiornale Mondo Libero. Era il 1963, e Pasolini stava lavorando a La Ricotta dopo aver diretto Accattone e Mamma Roma. Ferranti, però, dopo aver visto il montaggio di Pasolini, decise di tagliare varie sequenze e di far aggiungere una seconda parte firmata da Giovanni Guareschi secondo lo schema giornalistico "visto da destra e visto da sinistra" contro il parere di Pasolini che inizialmente voleva ritirare la firma dal progetto. La rabbia uscì in poche sale nell’aprile del 1963 distribuito da una major statunitense, la Warner Bros, ma passò inosservato e fu ritirato in fretta.

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Quarantacinque anni dopo ritorna al cinema distribuito dall’Istituto Luce col titolo La Rabbia di Pasolini – un’ipotesi di ricostruzione della versione originale del film di Pier Paolo Pasolini firmato da Giuseppe Bertolucci a partire un’idea di Tatti Sanguineti. Oltre all’edizione originale del 1963 della durata di 53 minuti, sono stati integrati 16 minuti della parte iniziale mancante, riplasmata seguendo il testo pubblicato nel primo dei due volumi di Pasolini per il cinema (Meridiani Mondadori), curato da Walter Siti e Franco Zabagli, ipotizzando che corrispondesse alla copia lavoro originale di Pasolini. Il tutto è incorniciato da un’introduzione didascalica di Giuseppe Bertolucci che spiega in due minuti la genesi dell’operazione e da un’appendice dal titolo L’aria del tempo in cui si vedono estratti di alcuni Cinegiornali della Settimana Incom (Industria Cortometraggi Milano) in cui l’autore viene preso in giro per le parolacce presenti nei suoi film (!) ma anche un eccezionale estratto di un minuto e mezzo dell’intervista realizzata nel 1967 dal compianto Fernaldo Di Giammatteo per la trasmissione Le confessioni di un poeta destinata alla tv svizzera RTSI: «Potrei dirle, con Saba, che ci sono certi animali che vengono mangiati» spiega Pasolini. «E mentre vengono mangiati non fanno tanta pietà perché, in realtà, dice Saba, desiderano di essere mangiati. Ora può darsi che io sia uno di quegli animali che desiderano essere mangiati e quindi provochi l’appetito degli altri».

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Non manca un curioso numero musicale dal film Scanzonatissimo di Dino Verde (1963) in cui Elio Pandolfi, Antonella Steni e Alighiero Noschese interpretano rispettivamente un omosessuale effemminato, una prostituta e il suo protettore che sbeffeggiano Pasolini sostenendo che presto avrebbe girato I Promessi Sposi in versione gay con Renzo Tramaglino travolto da palpiti d’amore per l’Innominato.

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Un’interessante operazione filologica che ci riconsegna un’opera pressoché sconosciuta del grande poeta friulano, scritta «senza filo cronologico, forse neanche logico… Ma con le mie ragioni politiche e col mio sentimento poetico». Così vediamo sullo schermo, affastellati in maniera in apparenza confusa, i principali eventi di quegli anni, dal funerale a De Gasperi alla guerra in Corea, da Marylin Monroe («una bambina sciocca come l’antichità») a Giovanni XXIII, dall’incoronazione a Elisabetta II alla nascita della tv, «una nuova arma inventata per la diffusione dell’insincerità, della menzogna, la voce che contrappone un’ironia umiliante a ogni ideale, la voce che contrappone gli scherzi alla Tragedia, la voce che contrappone il buon senso degli assassini agli eccessi degli uomini miti» e i cui futuri spettatori sono «milioni di candidati per la morte dell’anima». È particolarmente toccante il testo poetico che accompagna le immagini, spesso sottolineate da mantra evocativi: "Il bene della vita è libero", "Il male della vita è libero".

Contro la borghesia italiana è lapidario: «In Italia, a differenza delle grandi borghesie europee, non ci sono arrabbiati, ribelli, beatnik. Ora, io credo che la prima ragione di questa mancanza di arrabbiati sia dovuta al fatto che in Italia c’è una piccola borghesia, e quindi, contro la borghesia non può esserci che una piccola rabbia».

Nel deserto culturale contemporaneo, rivedere Pasolini incoraggia, rasserena, è a suo modo consolante; e dire che La Rabbia non fa parte della migliore produzione del grande poeta. Merita comunque di essere visto – soprattutto per farsi un’idea di un ventennio sconosciuto ai più giovani – anche se chi non ha visto l’originale resta con la curiosità di paragonarlo al segmento realizzato da Guareschi, pare irrecuperabile.

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