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Come chiamare il proprio lui?

Ragazzo, compagno, amante, partner, coso, pallino, gattino, amo… Come chiamare l’amore che non ha nome? Nella gay San Francisco usano il neutrale “partner”. Ma non tutti sono d’accordo.

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Gli americani hanno una predilezione per gli eufemismi politicamente corretti. Ci hanno insegnato che "negro" era un termine dispregiativo che doveva essere giustamente rimpiazzato dal più appropriato "afro americano" (nonostante in molti dei loro stati a fronte d’una mutazione della forma la sostanziale intolleranza sia rimasta la stessa). Così, nel rispetto delle diversità, in città estremamente evolute dell’unione come San Francisco o New York, già da una decina di anni si è sostituiti i termini "marito" e "moglie" con un più neutrale "partner", evitando in questo modo di mettere in imbarazzo gli amici gay che, per ovvietà di genere, non potevano fare una distinzione così tradizionale tra i membri della coppia.

"Significant other" sembra essere l’ultima e immagino definitiva evoluzione di questo percorso di neutralizzazione descrittiva che allarga a tal punto il concetto di compagno da comprendere tanto il nostro soggetto d’amore quanto l’orsetto di peluche con il quale da bambini venivamo messi a letto.

Non so quindi se per ammazzare il tempo nei centri di ricerca sociale o se dietro a questo sondaggio c’è realmente una necessità socio-politica che a me francamente sfugge, è stata pubblicata da poco una ricerca sulla popolazione gay americana volta a elencare i termini più adoperati dalle coppie per descrivere in maniera più intima e personale proprio il loro "Significant other".

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Il termine che sembra più adoperato per descriverlo è risultato essere: partner, con il 41% delle preferenze. Un anglismo che non ha bisogno di traduzione e che è entrato comodamente nel nostro vocabolario come: business, brunch e Paris Hilton. Francamente partner ha un sapore piuttosto asettico. Il fatto che possa essere usato tanto per descrivere chi ci portiamo a letto quanto il nostro collega con il quale siamo costretti a condividere pallosissimi viaggi di lavoro gomito a gomito mentre ci raccontano di come Moratti gestisca male il club dell’Inter non lo rende certo tra i miei preferiti.

Il 36% degli americani invece scelgono di chiamarsi boyfriend che pur non lavorando come interprete presso l’ONU posso sentirmi di tradurre tranquillamente come "ragazzo". Un termine fresco, quasi adolescenziale perfetto per gli amorini affetti da sindrome del fanciullino anche alla soglia degli "anta". Suona più scanzonato de "il mio uomo", risulta meno definitivo e compromettente e puoi permetterti di usarlo anche per qualcuno con cui esci da così poco da non sapere ancora neppure quale sia la sua serie televisiva preferita o se abbia mai votato per i socialisti.

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Nonostante il matrimonio sia un diritto non ancora riconosciuto in tutti gli Stati Uniti, il 10% dei gay si preparano alla prossima applicazione delle legge chiamando già il compagno "sposo" o "marito". Anche da noi l’ho sentito usare spesso, ma il più delle volte viene seguito dalla frase: "quel noioso di" perché sarà forse colpa della cultura linguistica italiana, ma non esiste sposo o marito che non sia implicitamente visto come un ingombrante fardello da gestire.

Con una percentuale dell’8% si piazza in coda alla lista "amante". Un termine che rievoca vagamente gli anni settanta, quelli dell’amore libero e sperimentale, quando l’iconoclastia delle tradizioni imponeva aggettivi vaghi e libertini adattissimi ancora oggi per i fricchettoni superstiti ad ogni latitudine del globo che indossano camicie di canapa e borse a tracolla di tolfa.

Rimane poi un vago 5% nel quale giacciono altri termini neppure degni di nota, quali potrebbero essere i nostri "pallino" e "gattino" o, grazie a dio, l’intraducibile e immondo "AMÒ", orribile contrazione coatta del forse troppo impegnativo Amore, che immediatamente mi riporta alla mente immagini di coppie disfunzionali composte da fidanzate alla carica come generali d’armata lungo le campate dei centri commerciali di periferia seguite da fidanzati tramortiti e catatonici. A questo punto forse sarebbe preferibile un anonimo "Significant other". Meglio anche essere chiamati con un fischio da pastore o richiamati con uno strattone al bavero della giacca. Va benissimo anche "coso" o "tu, come ti chiami" ma Amò, per amor del cielo, no.

di Insy Loan ad alcuni meglio noto come Alessandro Michetti

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