Spesso c’è la tendenza a separare l’elemento umano dai contesti bellici. Civili e militari che perdono la vita sul fronte sono ridotti a mera statistica, categorizzati come “danni collaterali”. In questo processo, diventa difficile associare a questi numeri un volto, una storia o, in alcuni casi, anche la dignità.
Eppure, l’umanità esiste resiste anche qui, animata dalla stessa forza che guida l’universo: l’amore.
Un amore diverso da quello a cui siamo abituati, che assume una sfumatura straziante influenzata dalle circostanze, ma che riesce comunque a rappresentare un sentimento che ci accomuna tutti.
Un anno fa circa su Gay.it abbiamo parlato di Queering The Map, un sito web dedicato alla comunità LGBTQIA+, che qui trova uno spazio per condividere ed ascoltare le storie queer da ogni angolo del mondo. Ora ne parla anche il Post.
Basta scegliere un luogo sulla mappa per scoprire che dal più piccolo centro alla grande metropoli, da Abu Dhabi all’Antartica, c’è una storia in cui possiamo riconoscerci.
Fondata nel 2017 a Montreal da Lucas LaRochelle, la piattaforma offre agli utenti che fanno parte della comunità LGBTQIA+ la possibilità di condividere post anonimi correlati alla loro posizione geografica.
Un atlante emotivo che raccoglie una varietà di aneddoti dalla comunità LGBTQIA+, spaziando da storie divertenti a racconti strazianti.
Ed oggi, il popolo LGBTQIA+ palestinese si affida proprio a Queering The Map per condividere col mondo brevi memorie, lasciare un segno su questa terra prima del prossimo bombardamento, fornendoci una prospettiva rara e al contempo struggente della piccola comunità queer palestinese.
“Per favore, sappiate che nonostante i media sostengano il contrario, esistono palestinesi gay. Siamo qui, siamo queer. Palestina libera”.
In una terra martoriata da decenni di conflitti, che oggi si trova al centro di una cruda escalation di violenze, la comunità LGBTQIA+ qui non ha mai avuto la possibilità di fiorire, di lottare per sé, di essere riconosciuta. E tante storie rimangono in sospeso.
“Ho sempre immaginato io e te seduti fuori al sole, mano nella mano, finalmente liberi. Abbiamo parlato di tutti i posti in cui saremmo andati se avessimo potuto. Eppure adesso te ne sei andato. Se avessi saputo che le bombe che piovevano su di noi ti avrebbero portato via da me, avrei detto volentieri al mondo che ti adoravo più di ogni altra cosa. Mi dispiace di essere stato un codardo” – scrive un utente di Jabalia, città palestinese a nord di Gaza, bombardata il 9 ottobre.
Amarsi qui può costare la vita. Come in altri paesi mediorientali e non solo, anche in Palestina l’omosessualità è punibile con la morte, e qualsiasi espressione diversa dall’eterocisnormatività è stigmatizzata. Dalla società, dalle autorità religiose, dalle tradizioni.
Così affetti, relazioni, amori attrazioni, identità restano nascoste. L’amore scorre vivo tra sguardi fugaci, incontri proibiti e – oggi più di prima – tragedia.
“Non so quanto tempo mi resti da vivere, quindi voglio lasciare un segno prima di morire – scrive un altro utente – Non lascerò la mia casa, sia quel che sia. Il mio più grande rimpianto è non aver baciato quel ragazzo. È morto due giorni fa. Ci eravamo detti quanto ci piacevamo, ma sono stato troppo timido e non l’ho baciato. È morto in un bombardamento. Penso che una grossa parte di me sia morta con lui. E presto sarò morto anche io. A Yonus, ti bacerò in paradiso”.
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