Elizabeth, la regina del bisesso

Il debole film di Shekhar Kapur ci presenta una Elisabetta I bisessuale e possessiva, interpretata esemplarmente dall’ormai divina Cate Blanchett. Si salvano costumi e scenografie ma il resto è fuffa.

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Ohibò, questa ci mancava. Che Elisabetta I, la leggendaria ‘Regina Vergine’, una delle più longeve della storia – morì a 70 anni, un’età insolita per quei tempi –  fosse bisessuale, onestamente, non lo sapevamo. È l’intrigante ipotesi che avanza senza mezzi termini il regista indiano Shekhar Kapur di ‘Elizabeth: The Golden Age’ sfarzoso ma non troppo seguito di quel capitolo primo del ’98 che valse sei nomination all’Oscar tra cui quella alla protagonista femminile: sempre lei, la diafana e inafferrabile Cate Blanchett – possiamo scommettere che farà il bis – nel ruolo della ‘buona regina Bess’, nome con cui si faceva anche chiamare, lo stesso della fidata bionda dama di compagnia (Abbie Cornish, curiosamente simile a Nicole Kidman). 

Il rapporto complice tra le due donne è tratteggiato come una profonda amicizia sensuale: Bess l’aiuta a lavarsi nella vasca, scambia con lei dialoghi amorosi, si emoziona palpitante allo sfioramento dell’amata sovrana. Quando la relazione viene incrinata dal trasporto per il fascinoso Walter Raleigh, avventuriero piratesco (un Clive Owen assai magnetico), il triangolo comprometterà l’equilibrio anche psicologico della regina a causa di un ‘doppio’ tradimento della fedele Bess.
A parte gli elaborati costumi – gonne multistrato di pizzo, preziosi a valanga, gorgières da mille e una notte – e le sontuose scenografie (Oscar?) questo ‘Elizabeth 2’ non appassiona molto anche perché sorvola troppo velocemente su alcune questioni chiave della storia elisabettiana a metà del cinquecento (ricordiamo il fiorire

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artistico di pezzi d’artiglieria pesante quali Shakespeare e Marlowe): innanzitutto la leggendaria battaglia dell’Invincibile Armata in difesa dell’esercito spagnolo intenzionata ad invadere l’Inghilterra è risolta in un battibaleno utilizzando addirittura inquadrature di un altro film, il celebre ‘La figlia di Ryan’ di David Lean; l’esercito spagnolo è tratteggiato come un manipolo di infidi invasori a dir poco beceri; il complotto a colpi di missive ad opera di Maria Stuart (la brava Samantha Morton, purtroppo compressa in un ruolo troppo piccolo) è semplificato in poche scene non significative. 

Funziona invece la prima mezz’ora di film, in cui viene introdotto il personaggio chiave del consigliere di corte Francis Walsingham (Geoffrey Rush, sempre ok), che traduce in linguaggio pratico le intenzioni dei vari ospiti in arrivo da mezzo mondo.
Aver assegnato la regia a un orientale è indubbiamente un errore, e

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il risultato è un’hollywoodianata con cadute melò – il patetico ballo di Bess con Raleigh su ordini della regina – il cui perno è l’ottima Blanchett che però resta quasi isolata in un ruolo che non le conferisce tutta la maestosa autorità che meriterebbe.
Certo, il tocco bisex rende la storia più piccantella ma occhio: che il casato dei Tudor venga semplificato come una famigliola in bisboccia perenne e con uno stuolo di damine starnazzanti intorno è semplicemente ridicolo.

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