In concorso al Lovers Film Festival di Torino, Riley è un’opera autobiografica, di repressione e accettazione di sè, con il regista e sceneggiatore Benjamin Howard che ha raccontato la propria storia di ex giocatore di football al liceo, che faticava ad abbracciare la propria omosessualità.
Protagonista è l’ambizioso Dakota Riley, interpretato dal bel Jake Holley, che inizia l’ultimo anno del liceo con grandi aspettative per il proprio futuro sportivo ed impegno atletico. Dakota, figlio di un ex campione di football la cui carriera in ascesa venne interrotta da un grave infortunio, vive all’interno di spazi accuratamente definiti: per lui il futuro è un progetto dove tutto è calcolato, su cui ha formato le basi della sua identità. Ma quando la realtà di quell’identità viene messa in dubbio, Dakota è costretto a confrontarsi con le conseguenze del rinnegare sé stesso o del venire a patti con chi è veramente.
Un coming of age estremamente potente, quello scritto e diretto da Howard, perché ambientato all’interno di un ambiente in cui cameratismo fa solitamente rima con bullismo omofobico. Riley è una stella nascente del football americano, sogna da sempre di diventare atleta professionista e quell’omosessualità che sempre più si fa palese non era da lui contemplata, tanto da mettere a repentaglio quanto immaginato. Per provare a metterla a tacere si fidanza con una ragazza con la quale non riesce a fare sesso, mentre comincia a chattare di nascosto su Grindr e ad immaginare nudo il compagno di squadra Jaeden. Tutto precipita quando viene ‘scoperto’ da uno dei pochi ragazzi gay della scuola. Un pomeriggio i due si baciano, Riley va incontro alla sua prima esperienza omosessuale, che lo travolge e stravolge. Ha il terrore che possa sapersi in giro, che quel suo “non essere etero” possa deviare un futuro da lui già scritto e immaginato, che possa tradire le aspettative di genitori e amici.
Benjamin Howard sta addosso al suo protagonista, ai suoi muscoli oliati e tirati, al radioso sorriso che nasconde non poche paure, alla trattenuta rabbia figlia di una repressione che Riley fatica a seppellire e a quella esuberante pulsione sessuale che solo con il compagno di classe Liam, gay della scuola interpretato dal bravissimo Connor Storrie, riesce ad emergere. Ambientata ai giorni nostri, la storia di un adolescente queer che si strugge al cospetto della propria omosessualità potrebbe apparire anacronistica, tant’è che lo stesso Liam dice a Riley che “ormai non importa più niente a nessuno se sei gay”, ma tutto assume senso nel momento in cui subentra il machismo del football, di uno sport muscolare che ancora oggi vede pochissimi giocatori dichiaratamente omosessuali al proprio interno.
Atleta straordinario, Riley piange dalla rabbia dinanzi al bullismo di un compagno di squadra, mentre è un incontro casuale e sessuale con un uomo più grande conosciuto su Grindr ad aprirgli la mente e gli occhi, a fargli capire che tutto quel che aveva pianificato per la propria esistenza sarà comunque stravolto. Che lui si accetti o meno, che lui faccia coming out o reprima, nulla sarà come prima, inevitabilmente. Ma potrà scegliere se accogliere queste differenze vivendo una vita felice, senza maschere, o un’esistenza spaventosamente infelice, costruita sulla paura. Riley non riesce ancora a definirsi e a definire il proprio orientamento, ma lentamente acquisisce consapevolezza, facendo testa o croce tra verità e menzogna, a ritrovare un amico che credeva perduto per un’esplicita avance di troppo, a rialzarsi dopo essere caduto, a ripartire dopo aver placcato timori incosci, andando a meta finalmente a testa alta.
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