È successo di nuovo. E lo sapevamo tuttə.
Giulia Cecchettin, 22 anni, è stata uccisa dal fidanzato Filippo Turetta. No, non era una fuga romantica presso il Lago di Barcis, non erano due innamorati scomparsi, e lui non era un mostro: è patriarcato, cultura del possesso, e femminicidio.
È la stessa identica scena che vediamo da una vita, ma che i media non smettono mai di romanticizzare, distogliendo lo sguardo dal problema reale.
Sono quarantotto ore che ci ritroviamo a ripetere sempre le stesse cose che ripetiamo da una vita, mentre dall’altra parte abbiamo i ‘bravi ragazzi‘ che ci tengono a ribadire che ‘loro non sono così‘ e gente come Simona Malone, deputata della Lega, che riversa la colpa sulle madri, e tutte quelle che ‘quando subivano violenza non si sono ribellate’.
“È fondamentale che le madri educhino i figli maschi ad avere rispetto delle donne” ci ribadisce anche la Ministra Roccella.
Tanto per cambiare, la responsabilità è sempre delle donne: se ti ammazza, è perché non l’hai educato bene, no?
“Turetta non è un mostro, lui è un figlio sano della società patriarcale che è pregna della cultura dello stupro”
A #Drittoerovescio parla la sorella di Giulia pic.twitter.com/JETBDvqkvx
— Dritto e rovescio (@Drittorovescio_) November 19, 2023
Nel frattempo l’unica analisi lucida la fa Elena Cecchettin, sorella di Giulia, intervistata da Dritto e Rovescio su Rete4: “In questi giorni si è sentito parlare di Turetta, e molte persone l’hanno additato come ‘mostro’ e ‘malato’. Ma lui mostro non è” mette in chiaro Cecchettin, ribadendo: “Mostro è l’eccezione alla società, mostro è quello che esce dai canoni normali di quella che è la nostra società. Ma lui è un figlio sano della società patriarcale, che è pregna della cultura dello stupro. La cultura dello stupro è quella serie di azioni che prevedono e sono volte a limitare la libertà della donna: come controllare un telefono, essere possessivi, fare catcalling”.
Nel suo intervento Cecchettin sottolinea che la cultura dello stupro è una struttura che beneficia tutti gli uomini (eh sì, anche quei bravi ragazzi): “Non tutti gli uomini sono cattivi, mi viene detto spesso. Sì, è vero, ma in questi casi sono sempre uomini. E tutti gli uomini traggono beneficio da questo tipo di società. Quindi tutti gli uomini devono essere attenti: devono richiamare l’amico che fa catcalling alle passanti, devono richiamare il collega che controlla il telefono alla ragazza” ripete la ragazza.
“Dovete essere ostili a questi comportamenti che possono sembrare banalità, ma sono il preludio del femminicidio. Il femminicidio non è un delitto passionale: il femminicidio è un diritto di potere. Il femminicidio è un omicidio di stato, perché lo stato non ci tutela e non ci protegge. Bisogna prevedere un’educazione sessuale e affettiva in maniera da prevenire queste cose. Bisogna finanziare i centri antiviolenza, in modo che se le persone devono chiedere aiuto siano in grado di farlo“.
Cecchettin conclude l’intervento con un appello: “Per Giulia non fate un minuto di silenzio. Per Giulia bruciate tutto”.
Parole chiare, servite su una televisione nazionale che mai ci fornisce un’analisi del problema così puntuale. La reazione generata sui social lo riconferma: nella sezione commenti Elena Cecchettin è solo una ragazzina esaltata, così arrogante da presentarsi con l’eye-liner dopo la morte della sorella (non ha senso elencarveli tutti qui: basta farvi un giro sui social per leggerli con tanto di trigger warning).
Ancora una volta siamo fermə allo stesso punto: perché come ribadito anche ieri, alla marcia Trans Lives Matter di Milano, risentiamo tuttə della cultura patriarcale: da Giulia Cecchettin alle vittime di transfobia, stiamo lottando contro un male sistemico, che prevarica ogni persona marginalizzata, e non trova tutela nelle istituzioni, nei media, né tantomeno nel nostro governo.
In questo mare di retorica, rabbia, e stanchezza, il minimo che possiamo fare è iniziare ad utilizzare le parole giuste: maturare una coscienza collettiva intorno a questi fenomeni, smettere di ‘spettacolarizzarli’ e chiamarli con il loro nome.