Quando si parla di Elenoire Ferruzzi si apre un varco tra chi la odia e chi la idolatra. Tra queste due posizioni, pescare un’unica verità è quanto di più riduttivo: Ferruzzi è una donna che va oltre i limiti del corpo, che rifiuta di conformarsi a qualunque norma estetica o sociale, in grado di sbraitare le sue opinioni, così fumina e rumorosa da diventare meme e icona, esilarante e problematica, da cui non puoi sfuggire, volente o nolente. Non è sfuggita nemmeno all’occhio di Alfonso Signorini che l’ha voluta tra le concorrenti di punta del del GFVIP, in una nuova edizione che – insieme alla presenza di Giovani Ciacci, primo uomo gay apertamente sieropositivo nella storia del programma – offre allo spettatore medio un mondo tutt’altro che famigliare. Su una piattaforma del genere, e tra le quattro mura di uno show studiato a tavolino per generare scontri e polemiche sterili, il rischio di strumentalizzare argomenti complessi e delicati, servendoli alla mercé del chiacchiericcio della televisione generalista (con l’effetto collaterale di appiattire ancor di più la conversazione) è dietro l’angolo. Tuttavia, l’altra sera Elenoire Ferruzzi ha offerto anche il meglio di questa operazione: “È difficile essere quella che sono io ed essere libera come sono io” spiega, sotto la silenziosa attenzione dello studio, dei concorrenti, e possibilmente del pubblico a casa. “Io non mi sono voluta omologare a nessuna figura di donna biologica, perché io corrispondo esattamente alla figura che interiormente ero, e tutto quello che ero interiormente l’ho fatto uscire esteriormente perché volevo essere vera fino alla fine.”
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Elenoire continua, chiara e coincisa, parlando del suo posto in società, e sull’accoglienza che le donne transgender ricevono in un paese come il nostro, costantemente relegate ai margini, se non a soddisfazione dello sciacallaggio pubblico: “Tutto questo, ovviamente, mi ha complicato la vita socialmente e lavorativamente. Ma a me non è importato mai nulla. Il tempo mi ha dato ragione, ma la mia vita, e la vita delle trans in generale, è una vita difficile. Le trans sono completamente disumanizzate a livello sociale, a livello lavorativo, non hanno un’integrazione perché purtroppo la società non permette un’integrazione per vari pregiudizi”. Elenoire conclude riconoscendo anche i propri privilegi, con un occhio di riguardo ai propri genitori, “due angeli custodi, che l’hanno accompagnata nel suo cammino da subito“. È proprio qui che cade ogni forma di snobismo o urgenza di fare le punte a tutte le controversie del caso: senza censure o edulcorazioni, Ferruzzi riporta i riflettori su una realtà sotto gli occhi chiunque, ma che chiunque dimentica per strada. Parole forse ovvie all’interno della propria bolla queer di riferimento, ma che il grande pubblico – specie se eteronormato, cisgender, e cresciuto a pane e gossip da Novella 2000 – rischia di non guardare mai, se non attraverso la lente distorta della narrazione mediatica. Non un trattato sociologico sull’identità di genere, ma un piccolo grande sasso nello stagno per cominciare a smuovere ulteriormente gli animi e risvegliare dal torpore.
Piaccia o meno, a farlo è la figura meno accomodante che ci possiamo aspettare, come dice lei stessa, nulla di più lontano dal corpo conforme: oggetto di scherno, scrutinio, e derisione, a partire da quelle unghie che sembrano calamita per ogni commento non richiesto. Ma se un reality show offre una storia tagliata e cucita per saziare la fame di chi guarda, quella di Elenoire è un film di Almodovar con la brutale impudenza di Cristina La Veneno: un’antieroina marginalizzata che entra a gamba tesa nei salotti che la squadrerebbero dalla testa ai piedi, prendendo posto sulla sua poltrona senza chiedere il permesso o piegarsi al minimo conformismo. Portatrice di punti di vista anche limitati, anacronistici, e fuori tempo massimo ma conferma concreta che le persone LGBTQIA+ non sono solo un rassicurante arcobaleno da stampare sulla borsa, ma esseri umani incatalogabili, brutali, e spigolosi a trecentosessanta gradi. È anche e soprattutto qui che risiede la potenza di un personaggio così in un programma così: non c’è scusante per ogni commento problematico del passato e nemmeno per ogni futura castroneria che ci ritroveremo ad ascoltare su questi schermi, ma ridurre Elenoire Ferruzzi solo a questo significa leggere poche righe di una storia molto più grande.
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