Eravamo in trenta, la prima volta. E la prima volta era dieci anni fa circa, in un piccolo club di Milano. Poi, pian piano siamo diventatə tantə, al Carroponte, più avanti al Forum di Assago, oggi all’Arena di Verona. Per festeggiare, per celebrare. Nel mezzo, cinque album, due ottimi Sanremo, tre libri, qualche colonna sonora, diverse collaborazioni e una bambina.
Levante è diventata grande. Anzi, grande lo è sempre stata: consapevole, precisa, attenta. Oggi forse è solo più matura, perché sa qual è la traiettoria che la sua musica ha percorso, e ha coscienza della strada che vuole percorrere, di quello che vuole dire, di quello che vuole fare. Levante è un’artista preparata e portentosa, che scrive e canta benissimo, e scrivendo e cantando, si prende il palco. Lo abbraccia, lo respinge, lo mastica, lo sputa. Ieri sera, all’Arena di Verona, la summa di una carriera e la testimonianza di un certo modo di fare arte, di essere sé stessa nonostante gli altri, l’industria, le cose che cambiano. Canta tutta la sera e dice pochissimo, dice grazie, ogni tanto ride, si commuove e ancora ringrazia. Non aggiunge altro, è tutto nelle canzoni. Canta tutta la sera e non sbaglia una nota, tiene il timone della voce, controlla perfettamente il suo corpo nello spazio. Una barca in mezzo al mare. Porta la sua voce dove vuole che arrivi: o in alto a riabbracciare chi abbiamo perso oppure giù in fondo, da qualche parte nei pressi dell’ombelico e ancora più in basso, sotto i piedi, sottoterra.
Quella sua voce acida e dolcissima, di uva e di caramella, di libeccio e di antracite, arriva ovunque e canta ogni cosa. Le cose grandi e le piccine, i dubbi, le paure e le rinascite. Le perdite, gli svaghi e la leggerezza. Il mare e le stelle, le metropolitane e l’immondizia, le iridi, i cosmonauti, i papillon e i gin tonic, le finestre, i vulcani, i Santi, le Sante e i dolori. Poi il clima, i bivi, le migrazioni e le donne, il bullismo, il lutto e il cielo, il Messico e insieme la Sicilia, Milano poi Parigi, Catania, Torino, le isole e le valli. Le madri, le figlie. Gli atti di dolore, gli stabilimenti balneari, i braccioli, le albe e i tramonti, Gesù. Eppure se c’è una cosa che Levante racconta meglio di tutte le altre, secondo me almeno, quella cosa è l’ostinazione dell’esserci, la dichiarazione di non arretramento. In ogni canzone, che sia sussurrata oppure cantata a pieno petto, lei sembra dire: «Ci sono, sono viva, ho paura sì ma non arretro. Mi guardo indietro, ma indietro non torno neanche per le rincorse.»
Canta sempre spingendosi in avanti, canta al futuro, tirando pugni all’aria, cercando di afferrare il domani. Anche con il corpo, intendo, Levante si protrae in avanti, scalpita. È una puledra e non si ferma. È una funambola, balla, salta, si cambia, si riveste – un vestito, un altro, poi i jeans – suona, si inginocchia e si rialza, scende in platea e risale le scale. È una bestia, Levante. È una femmina di magma e di vento, che non si ferma mai. Né in testa né con il corpo. Vortica, e intanto scivola sulle sue parole, sulla sua lingua sempre così complessa e bizzarra, su quel pastiche baroccheggiante che è il suo più grande punto di forza. Allittera tutto, canta in rima e con i chiasmi, sceglie anacoluti, metafore e reduplicazioni, ma intanto ci fa ballare, intanto ci fa piangere. Si circonda di ballerini e abbraccia la chitarra. È una cigna libera all’Arena – bellissima e di bianco vestita – ma è anche attrice dell’Olympia. Fascinosa e drammatica come una Dalida del Mediterraneo. È Artemisia e Dora Maar, una demoiselle di Avignone. È tutta viscere e aria fluttuante. È una stagione e quell’altra. È muscoli e cervello. Una bambina che fa la ruota e un’anziana che racconta le storie. Un’isola di vento e pietre.
Tra i momenti migliori della serata, le hit di sempre – da Alfonso a Pezzo di me, da Le lacrime non macchiano alla più recente Vivo – e alcuni pezzi meno noti, che strizzano gli occhi a ə fan più appassionati. Tra queste, Dall’alba al tramonto, Iride blu e cuore liquido, Io ero IO. La commozione arriva, puntualissima, con Abbi cura di te, il pezzo cult che invita a volersi bene e a seguire le orme d’oro dell’istinto, e con alcuni brani nostalgici del passato, come Farfalle e Nuvola, cantata con Alberto Bianco, autore del brano nonché amico di una vita. Bianco non è l’unico ospite della serata: su “Gesù Cristo sono io” – un grido contro la violenza sulle donne – arrivano Ginevra, Angelica, Emma Nolde, Veronica Lucchesi ed Erica Mou. Eccellenti cantautrici, sorelle d’anima, colleghe.
Tra canzoni recenti e riscoperte dal passato, questa festa in Arena è un omaggio alla musica e alla creazione, un tributo alla strada fatta insieme, alla strada che sarà. Nonostante tutto, vivi.
Credits fotografici: Lulop.com
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