Loïe Fuller nacque nel 19862 nell’Illinois, in un sobborgo di Chicago. Nell’introduzione della sua autobiografia, Anatole France la definisce una ragazza “meravigliosamente intelligente e istintiva, ricca di così tante doti naturali da poter diventare uno scienziato“. Dopo essersi esibita nei teatri degli Stati Uniti e la Germania, Fuller arriva in Francia, e lì spicca il volo: esordendo al teatro Les Folies-Bergère il nome Louïe Fuller danza sulla bocca di tutti, stregando l’immaginario della Belle Èpoque. La danza è l’arte che l’accende sin da piccola, ma la sua è un’arte che guarda al futuro, che studia le regole per infrangerle e creare qualcosa di sorprendente e inaspettato.
Per Fuller danza e corpo sono un’unica cosa: libera da qualunque tecnicismo, ma mossa esclusivamente da luce, musica, e soprattutto, i costumi. Gli abiti indossati da Fuller non avevano nulla a che vedere con il rigido vestiario delle ballerine dell’Ottocento: il suo corpo non si vede mai, avvolto tra immense tuniche di seta che arrivano fino a 450 metri di lunghezza. Non è solo ballerina, ma anche coreografa, regista scenica, e artigiana. Unendo i suoi movimenti all’illuminotecnica, Fuller studia con precisione le leggi di rifrazione della luce, arrivando ad assumere un entourage di 25 tecnici per i suoi spettacoli. Le coreografie di Fuller replicano i fenomeni del mondo naturale: è giglio, farfalla, ma anche acqua, fuoco, foschia, vulcani, e bufere, unendo alla sua visione fantasia e realtà. Scrive nella sua autobiografia: “Cos’è la danza? È movimento. Cos’è il movimento? L’espressione di una sensazione […] Il corpo umano, esattamente come avviene per gli altri animali, è di per sé pronto ad esprimere tutte le sensazioni – e le esprimerebbe, se fosse libero di farlo; […] nei fatti, il movimento ha sempre rappresentato il punto di partenza in ogni tentativo di espressione di sé, per di più fedele alla natura. Non le parole, ma i movimenti sono corrispondenti al vero.”
Loïe Fuller sfidava le regole non solo nella danza, ma anche nella vita privata: nel 1905 Fuller incontra Gabrielle Boch, una ragazza di sedici anni più giovane di lei, che diventa presto il più grande amore della sua vita. Un incontro dell’anima e delle idee, che le porta a fondare nel 1908 la loro scuola di danza a Parigi, un circolo per donne del Novecento, che amavano superare ogni barriera artistica e sessuale. “Le bambine non imparano ma realizzano” ripete alle sue allieve, invitandole a non dipendere dai tecnicismi, ma sprigionare la naturalezza del corpo. L’innovazione e la sperimentazione l’accompagneranno fino alla morte: nelle sue coreografie, Fuller realizzò anche delle ali di farfalla al radium, che a causa delle radiazioni ionizzanti, finì per ammalarsi di cancro e morire il 1 Gennaio 1928. Lei e Boch rimasero insieme per ventitre anni.
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