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La storia di Jackie Shane, la cantante transgender che ha rivoluzionato la musica soul

In un’epoca contrastata da razzismo e transfobia, la voce di Jackie Shane riecheggiava tra le radio americane e scriveva la storia.

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Negli anni ’50 un’effervescente donna nera e transessuale infuocava i palchi della musica soul accendendo l’anima dei grandi amanti della musica soul e dei transfobici più fastidiosi: il suo nome era Jackie Shane.

Shane nacque nel 1940 a Nashville, nel Tennesse. Iniziò a cantare nel coro della chiesa a otto anni, e d’adolescente già si esibiva tra i gruppi gospel di Nashville. Ma la vita in Tennesse non era proprio una passeggiatina di salute: le leggi di Jim Crow rendevano impossibile la quotidianità di ogni persona nera, figuriamoci una ragazzina trans che amava truccarsi e indossare gonne davanti tutta la scuola. Almeno tra le mura domestiche, Shane era al sicuro: “Non hai nessuna ragione per piangere o vergognarti. Tu sei magnifica.” le ripeteva sua madre.

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Jackie Shane si esibisce al Palais Royale (Photo by Jeff Goode/Toronto Star via Getty Images)

Ma Shane voleva crescere e formarsi alla luce del sole, libera e fiera come ogni essere umano merita di vivere. Così, nel 1959 lasciò casa, spostandosi prima a Cornwall, poi a Ontario in Florida, e infine in Montreal. “Non mi sono mai sentita meglio. Mi sentivo così libera” dichiarerà anni dopo in  un’intervista con il musicista Rob Woman. Nonostante le minacce fossero sempre dietro l’angolo, Shane continuò ad esibirsi sui palchi di Montreal, guadagnando sempre più visibilità, fino a raggiungere la Louie’s Showplace Lounge di Boston, aprendo concerti per Etta James, Marvin Gaye, e The Temptations. Se sul palco Shane poteva esibirsi in abiti femminili, per strada vigevano ancora restrizioni forti per ogni persona queer, tanto che Shane si muoveva avvolta in un lungo cappotto per evitare di attirare attenzioni indiscrete, tra improvvise perquisizioni della polizia e transfobici all’orizzonte.

Nel 1962 si accese una scintilla: Shane registrò in studio una cover di “Any Other Way” di William Bell e la canzone debuttò alla 45esima posizione della classifica nazionale, fino a toccare il secondo posto della radio locale. Il brano divenne tra i pezzi più richiesti tra le radio di Toronto, permettendole di registrare altri singoli e accrescere la sua popolarità. “Tell e’m I’m gay” ripeteva un verso della canzone, che nel 1963 apriva a due significati: “gay” tradotto come “felice, gioiosa” e al contempo un escamotage per cantare pubblicamente la propria identità nelle orecchie di chiunque. “Più vicina a Gesù di così non ci arriverò mai” commentò, dopo il Jackie Shane Live nel 1967. Numerose case discografiche – da Atlantic Records a Motown – le offrirono contratti, ma Shane rifiutò ogni offerta consapevole che l’avrebbero sfruttata a loro vantaggio.

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Copertina di Any Other Way, nominato come Best Historical Album ai Grammy 2019

Tuttavia, a metterle i bastoni fra le ruote fu Frank Motley – in tour insieme a lei – arrabbiato per il suo successo, finì per minacciarla innumerevoli volte e compromettere i suoi spettacoli. Uno scontro che portò Shane ad abbandonare il palco e tornare a Nashville nel 1971. Restò lontana dai riflettori per decadi, ma non dal cuore degli appassionati, che a distanza di anni hanno cercato di tenere alto il suo nome e ricordare il suo prezioso contributo al mondo della musica. Nel 2017 la raccolta Any Other Way introdusse di nuovo Shane al pubblico, conquistando il cuore delle nuove generazioni e guadagnandosi una nomination come Best Historical Album ai Grammy 2019. Quello stesso anno Shane morì nel sonno, all’età di 78 anni. Ma la sua voce non smetterà più di riecheggiare.

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