Autentica. È questa la qualità che spicca, evidente, rara nell’ambiente dello spettacolo, della nostra Dea Rock, Loredana Bertè. Nostra Signora Lola, impaurita di essere sola, senza amici, ci confida. Loredana sempiterna, pettirosso – ma anche aquila reale – da combattimento, foglia d’argento che va via per la sua strada in giro per il mondo, da un padre violento a matrimoni difficili, da Roberto Berger al tennista svedese Bjorn Borg (distrugge entrambi nel libro), sempre uomini sbagliati ma amati con tutta sé stessa, col fuoco vivo della passione, la fretta del cuore, sempre. Ma amiche, complici e amanti, platoniche, sicuramente tante: s’infiamma per Fiorella Mannoia, sua produttrice, e duetta con la grande Marinella Venegoni che ieri sera ha presentato al Circolo dei Lettori di Torino la ruvida autobiografia Traslocando – è andata così, edita da Rizzoli, un’istantanea fotografica, un puzzle caleidoscopico malinconico ma anche divertente di momenti folli tra voglia di emancipazione e fughe dalla finestra di alberghi non pagati (con Renato, ora ripudiato). Ma con lei c’era, c’è e sempre ci sarà Mimì, unica, inseparabile, la migliore: “Il tempo accentua il dolore, sono tante valigie una sopra l’altra”.
La serata è affollatissima e blindata, con chiusura delle prenotazioni posti vari giorni prima dell’evento. C’è anche l’illuminato direttore del Circolo dei Lettori, Luca Beatrice.
Abbiamo avuto l’onore di conoscere Loredana durante il firma copie, le abbiamo portato il forte abbraccio della comunità, di quegli amici e amiche che ci sono stati, ci sono e ci saranno, e non traslocheranno mai dalla sua anima. Lei ci sorride, ci ringrazia, insegue con lo sguardo il direttore del Togay, Giovanni Minerba: “Quando mi inviti al festival?”.
Sarebbe davvero bello riaverla a Torino durante il prossimo Togay (4 – 9 maggio), dove potrebbe presentare il singolo È andata così scritto da Ligabue che uscirà domani, mentre l’album corale Amici non ne ho…ma Amiche sì! con l’inedito Il mio Funerale, prodotto da Fiorella Mannoia, sarà disponibile dal primo aprile. Grande Lola. Sul palco è in buona forma, ha voglia di raccontarsi e divertirsi.
È stato faticoso scrivere Traslocando?
Ci sono aneddoti che mi sono ricordata dopo, la Rizzoli dovrebbe fare subito una ristampa! Ho vissuto tante vite, ci sono piccole cose anche divertenti: per esempio il progetto di Djavan in Brasile. Avevo portato la canzone Petala in Italia: Fossati ci ha messo otto mesi per dire è uno forte, un genio. Nacque un carioca con contratto Sony!
Com’è il tuo rapporto coi discografici?
I discografici sono dinosauri. A Sanremo mi sono trovata in strada senza un albergo, il passaggio per Milano me lo dava la Emi! Successe quando avevo il finto pancione, cantavo Mango (applauso in sala. n.d.r.).
Madonna e Lady Gaga hanno preso qualcosa da te?
Prendevano, sì. Madonna l’ho conosciuta di persona. Ero andata a San Francisco, seguiva uno shooting a Los Angeles. Mi ricordo che c’erano duemila stand. Avevo un giubbotto di Moschino. Madonna mi disse: “Ciao bella, mi presti gli orecchini?”. Un fotografo esclamò: “Dai il giubbotto a Madonna!”. Non l’ho più rivisto. Rimasi praticamente nuda sotto, con gli stivaloni. Moschino fece poi un giubbotto solo per me.
Raccontaci invece com’è andata con Pino Daniele…
Pino aveva già cinque bypass. Lui mi diceva sempre: “Non ti mettere la minigonna!”. L’ultima sera, al Festival di Sanremo, gli dissi che avrei messo la minigonna. Inventarono come scusa che avevo perso le valigie! Pino Daniele ci manca. Purtroppo Al Bano, invece, sta sempre bene…
Qual è stata la parte più difficile da raccontare, in Traslocando?
Mimì. Mimì era l’oceano, profonda, irrequieta. Il tempo accentua il dolore, non lo cancella. Lo porti dietro come le valigie di Celentano. Le avrei detto ti voglio bene, ti amo: lo dicevo pochissimo. Mimì si sentiva protettiva. Mi diceva solo: non fare casini.
I momenti più divertenti?
Le coreografie delle sigle famose di Collettoni e Collettini (corpo di ballo di Rita Pavone, di cui facevano parte Loredana e Renato Zero, n.d.r.), con Renato chiuso in una gabbia. Poi la tournée in Messico con Gianni Minà dove dovevamo restare solo tre mesi, e in California, ma per motivi d’amore: mi ero fidanzata con Federico De Laurentiis. Ci davamo appuntamento alla Russian Tea Room del Wilshire Hotel, quello di Pretty Woman, con la principessa Dandolo che aveva sempre l’eskimo. Mi vestivo sempre peggio, con gonne sempre più corte, fino al baby doll. Ci facevano entrare solo quando capivano che eravamo ‘amiche’ di Federico. A Wembley abbiamo incontrato David Zard, a Londra siamo andati al concerto di Bob Dylan e di altri artisti eccezionali: li ho visti tutti, i più grandi, a partire dai Beatles. Ho preso ispirazioni e contaminazioni da loro ma avevo contro le case discografiche. Mi strappavano regolarmente il contratto.
Com’è stato il tuo incontro con Andy Warhol?
Ho aperto tutti gli store Fiorucci del mondo. Eravamo in uno stand con un piacevole ingresso, c’era un’atmosfera di relax. Si presenta Warhol: “Mi fa un cappuccino, per favore?”. Io gli ho risposto: “Non si preoccupi”. Pensava che fossi la barista. Ero con Leonardo Pastore, morto di Aids nel 1997: gli ho dedicato Carioca.
Warhol mi voleva a casa sua. Comprai pasta e scolapasta alla Campbell. Mi fotografò con lo scolapasta e mi chiese che cosa fosse. C’era anche Claudia Ruspoli che faceva aeroplanini di carta. Andy mi chiamava Pasta Queen.
Ho avuto l’onore della sua amicizia quando era a New York. Venne anche a vedere un match tra McEnroe e Borg di otto ore. Se ne andò dopo due set. Vissi poi sei mesi a Sarasota in un appartamento con balcone su uno dei ventuno campi da tennis. Lì scrissi metà di Ufficialmente dispersi. Mettevo i tappi nelle orecchie. Comunque l’amore è un po’ sopravvalutato. Speravo di segnare il mio passaggio terreno con un figlio ma la suocera disse di no, voleva solo puro sangue svedese.
Invece la collaborazione con Carla Fracci è stata meno glam…
È nata grazie al marito (Beppe Menegatti, n.d.r.). Erano in macchina quando hanno sentito Rap di fine secolo. Mi hanno chiamato: ho attaccato il telefono, il numero glielo aveva dato Renato. Il musical teatrale Gerusalemme (nel 1997, n.d.r.) è stata un’esperienza unica. Si parlava di palestra e poi dei due chilometri di Striscia di Gaza. C’era anche Roberto Bolle. Erano tutte opere di Verdi, un rivoluzionario pazzesco, il mio preferito. Io incastonavo le parole di Luzi come pietre preziose in sette minuti di Trovatore piuttosto che l’overture del Nabucco. Dicevano: “Maestro, è vero che c’è una metallara?”. Questo lavoro mi ha gratificato. Ma la Fracci non era contenta: c’erano 24 sedie vuote. Poi tutte quelle bare, il funerale di un bambino di quattro anni, la Fracci che ballava con intorno abiti appesi. L’abbiamo fatto per due stagioni al Caracalla: sono arrivati gli elicotteri e gli spettatori giapponesi che avevano comprato anni prima il biglietto pensavano fossero effetti speciali. Di questo spettacolo esiste del materiale al Teatro dell’Opera.
Quando arriverà l’album di inediti?
Nel 2017. Adoro Fiorella Mannoia, è la mia produttrice preferita! Ogni album nuovo è una costellazione. In giro c’è un sacco di musica inutile.
Nel libro dici che da grande volevi fare la regina. Ti sei mai sentita davvero una regina?
Da piccola giravo sempre con la tiara in testa, pensavo davvero di essere una regina!
Pensi di aver contribuito alla causa femminile?
Sì, esistendo.
Quali sono i tuoi rapporti con Renato Zero, adesso?
Zero.
E i legami con la Calabria?
Nessuno.
Se rinascessi rifaresti le stesse cose?
Platone dice di sì.
Nell’album manca la collaborazione di Anna Oxa, come mai?
Lei odia i funerali e tutti i concerti che lei non voleva fare perché vicini ai cimiteri, li ho fatti io. La pista 17 è Il mio funerale, una critica graffiante a chi va ai funerali per vedere chi c’è.