Dal 2018, la Nuova Zelanda ha previsto la possibilità dell’auto-identificazione sui certificati di nascita e sui documenti di identità per tutti coloro che hanno cambiato sesso. La cosa però richiedeva un certificato medico che provasse l’avvenuto cambiamento, il che escludeva automaticamente le persone non-binarie, intersessuali e tutti coloro che non si identificavano con il genere con cui erano nati. Le cose stanno ora per cambiare.
A quasi quattro anni di distanza, il Parlamento ha approvato all’unanimità un provvedimento «a favore dell’incisività e contro la discriminazione», come l’ha definito il Ministro degli interni Jan Tinetti: il requisito del certificato medico verrà rimosso, rendendo così l’auto-identificazione ben più semplice per nascite, morti, matrimoni e registri civili. «Oggi è un giorno orgoglioso nella storia di Aotearoa», ha continuato il Ministro, sostenendo come «questa legge farà una vera differenza per i Neo Zelandesi trans*, non-binari, takatāpui (LGBT nella lingua autoctona, nda) e intersessuali».
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Diversi Paesi hanno discusso negli anni la questione del “self-id”, e la Nuova Zelanda va ad aggiungersi a un elenco tra cui spiccano la Spagna e la Danimarca, che da tempo prevedono questa possibilità aperta a tuttə. Ma ci sono anche Malta e la Norvegia, alcuni Stati americani – i meno conservatori – e anche l’Argentina. La maggior parte delle altre Nazioni in cui si discute la materia prevede la possibilità di un cambio di sesso ma solo con un certificato medico, un passo indietro quindi rispetto alla totale libertà a cui si è giunti in alcuni posti. Spesso, invece, non c’è ancora una normativa precisa sulla questione. L’Italia è ancora piuttosto indietro. La prima legge del 1982 prevedeva che fosse possibile chiedere al Tribunale un cambio di sesso solo dopo un percorso di affermazione di genere, mentre una sentenza del 2015 della Corte di Cassazione ha stabilito che non è necessario sottoporsi all’intervento chirurgico, ma è sufficiente dimostrare al giudice di essersi immedesimati perfettamente nel genere. Il che, va da sé, è soggetto non solo ai tempi della burocrazia italiana, ma anche alle opinioni personali di un giudice.
Nonostante il passo importante per la Nuova Zelanda, non tutti sono così inclini a festeggiare. C’è anche chi, infatti, vorrebbe estendere l’auto-identificazione sui certificati di nascita non solo alla comunità LGBTQ+, ma anche ai rifugiati, ai richiedenti asilo e agli immigrati. È quello che sostiene, ad esempio, la dott.ssa Elizabeth Kerekere, esponente del Partito Verde, che ha dichiarato: «Questo disegno di legge riconosce che coloro che hanno bisogno di modificare il loro certificato di nascita può farlo, che i tribunali non hanno il diritto di fare quella scelta per loro, che i genitori non hanno quel diritto, che le persone cisgender che non si preoccupano di loro non hanno quel diritto». Le ha fatto eco la portavoce per le donne del Partito Nazionale, dopo che il Ministro degli interni ha promesso che il governo lavorerà per estendere i certificati di nascita anche in questa direzione.
«Se chiudiamo completamente l’espressione di argomenti come questo, non trarremo beneficio dal considerare una gamma completa di punti di vista mentre discutiamo le politiche e le idee complesse. Mi preoccupo per gli impatti sociali della gente che ritiene che le loro opinioni non possano più essere espresse»
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