Il vento populista che soffia in questo momento in Occidente non promette nulla di buono per le minoranze.
È infatti evidente come dietro il diffuso sentimento di protesta anti-establishment, si stiano coagulando sempre di più movimenti che cavalcano discorsi intolleranti. Antiche cantilene sono state riesumate, contro il politically correct, spacciato come un’agenda politica imposta dalle élites alle masse, che limita la libertà di espressione e indottrina al pensiero unico; contro le piattaforme per i diritti delle minoranze, marginalizzate come questioni secondarie, non prioritarie.
Lo abbiamo visto durante le elezioni americane, lo vedremo sicuramente alle prossime elezioni italiane, il senso di frustrazione sociale – motivato dall’impoverimento delle classi medie – viene artificiosamente dirottato verso le minoranze ed in particolare quelle etnico-religiose, divenute oramai il bersaglio principale del malcontento. Messo in parole semplici, siccome la classe media bianca si è impoverita ed è – giustamente – arrabbiata con il sistema (che ha dato prova di inefficienza), sembra legittimata a diventare razzista, omofoba, xenofoba; in questo quadro, l’intolleranza viene “tollerata”, se non addirittura glorificata, come strumento di “ribellione” contro le élites che ci governano.
In realtà basta leggere qualsiasi libro di storia per capire che non c’è nulla di più “sistemico” di razzismo, omofobia e xenofobia. E che dietro la rabbia contro le minoranze, solitamente non c’è molto altro che la rivendicazione dei propri privilegi “invisibili”. In questo quadro desolante, il razzismo, l’omofobia, vengono derubricate a questioni psicologiche soggettive, che riguardano principalmente le emozioni di chi le subisce o le intenzioni di chi le mette in atto, tralasciando qualsiasi dimensione collettiva. La politica che si occupa di tutti, e non solo di alcuni segmenti maggioritari della popolazione, viene contestata. I diritti civili, la lotta alle discriminazioni, vengono rappresentate come questioni elitarie, borghesi, da salotto buono, o meglio ancora: radical chic.
Peccato che, mai come oggi, di fronte allo smantellamento continuo del welfare, la difesa delle minoranze sia proprio una grande questione sociale, popolare, democratica, aperta nel cuore dell’Europa. La crisi non ha colpito solamente il maschio bianco che sembra essere l’alfiere di questi nuovi movimenti di protesta. Donne (che minoranza non sono!), LGBTQ, migranti, minoranze etniche religiose; anch’essi hanno subito sulla propria pelle le conseguenze dell’aumento delle diseguaglianze. La retorica populista, e la politica più in generale caduta nel suo tranello, sembra aver cancellato queste esperienze dal dibattito pubblico riducendo tutto al malessere sociale all’uomo medio, bianco, impoverito. Tutto il resto non conta.
Ecco perché c’è il rischio concreto che si vada verso l’esclusione sulla base della razza, del credo religioso o dell’orientamento sessuale, di segmenti della popolazione dalla platea dei già scarsi diritti sociali e dall’accesso ai servizi di welfare. A fianco a ciò, con il progressivo indebolimento degli strumenti di democrazia rappresentativa, a prevalere sarà la legge del più forte, di quello che urla di più.
Ecco che allora la lotta al politically correct, più che mirare a difendere la libertà di pensiero, somiglia sempre di più ad una rivendicazione dei propri privilegi acquisiti, da parte di maggioranze a cui è rimasto soltanto questo: la certezza della propria identità, la forza del “noi’”. A farne le spese, però non saranno le élites governanti, l’establishment, ma gli ultimi, i malcapitati che non hanno avuto la fortuna di nascere con il giusto colore della pelle, nel giusto paese o con il giusto orientamento sessuale.
Tutto ciò preoccupa molto, anche perché sembra mancare per ora qualsiasi anticorpo contro quest’avanzata qualunquista: la sinistra europea ormai annichilita non sembra essere in grado di rispondere all’offensiva culturale delle destre nazionaliste e dei nuovi populismi.
L’unico barlume di speranza potrebbe risiedere nelle nuove generazioni, i millennials, che hanno fatto della diversità un valore fondamentale del proprio stare al mondo. A loro, se saranno capaci, toccherà difendere i diritti delle minoranze. Purtroppo temo che non basterà qualche condivisione su Facebook. Servirà riscoprire la partecipazione politica.
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Un articolo che per attaccare il populismo è populista che di più non si può. Mettere insieme cose che non c'entrano niente, come le minoranze, l'elezione di Trump, determinata in realtà dall'aumento inaudito delle tasse sul ceto medio basso, e il politically correct che è una ossessione stupida che sconfina con gli eccessi nel ridicolo come storpiature grammaticali (a quando agentessa? magari poi io mi farò chiamare atleto e non atleta e mi raccomando Bertolucci è un poeto non un poeta), terminologia da idioti dietro alla quale si nascondono razzismi ben peggiori (nativi americani, afro americani), quote rose che in realtà fanno solo l'effetto del "bel fiore all'occhiello circondato da maschi". E poi la questione generazionale è la generalizzazione più banale e ridicola: ma quali millennials che ci salveranno, è il contrario: non sono andati a votare per la Brexit facendo vincere i populismi e sarebbero loro il cambiamento?