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Ho 26 anni. Sono in ritardo con la magistrale e fatico a concludere gli studi. Sento la pressione di farmi pagare gli studi dai miei e questo mi genera sensi di colpa (e deconcentra di più). I miei coetanei si laureano, trovano subito il lavoro che desiderano, e fidanzarsi. So che non dovrei fare confronti e non sappiamo mai davvero cosa succede dall’altra parte, ma sembra tutto così facile da fuori, e io fatico a capire cosa mi piace, mi sento terribilmente insicuro, e ogni giorno mi sento più inadeguato della media. Come si diventa adulti? Come smettere di confrontarci agli altri? Quando inizierò a sentirmi abbastanza?
(Anonimo, Firenze)
Come ci si sente abbastanza? A dirti la verità ancora non lo so.
All’alba dei miei 29 anni mi sembra di vedere persone che lavorano meglio di me, scrivono meglio di me, cucinano meglio, amano meglio. Quando vedo qualcunə vivere meglio di me vorrei fermarlə e chiedere: come fai tu? Come studi? Cosa mangi? Come ti innamori? Insegnami la formula perché io non la conosco.
Confrontarsi con gli altri è una trappola dov’è troppo facile cadere, e non importa quante volte ci hanno detto di non farlo.
Gli altri ci nutrono, guidano, e rassicurano offrendoci un esempio precostruito da seguire, con la speranza di farne parte anche noi e non perderci per strada.
Il paragone è sano fin quando non ci demotiva e butta giù, e all’improvviso ci accorgiamo che quel percorso è più incoerente, tortuoso, e sfiancante del previsto. Soprattutto non tuttə sanno percorrerlo allo stesso modo.
Perché anche agli altri seguono un modello ad hoc per renderci operativə, produttivə, e “bravə” secondo dei criteri ben precisi, e chi non rispetta le aspettative rimane indietro.
È facile sentirsi inadeguatə quando la maggioranza ti dice che c’è un solo modo di stare al mondo e non contempla alternative.
Ma quel modello universale inizia ad inclinarsi, e siamo tuttə più stancə, stufə, e confusə di quanto vorrebbero farci credere.
E se gli ingranaggi della macchina non funzionassero più? Che succede quando ci fermiamo?
Lo so, ti sto fornendo più domande che risposte e capisco sia davvero difficile spegnere gli altoparlanti e andare avanti senza farsi influenzare da un mondo che continua a misurare quanto vai veloce.
Ma rallentare non è un fallimento, bensì un atto d’umanità verso il tuo corpo che non va a benzina.
Non demonizzare le tue debolezze, ma raccontale, fai sapere agli altri come stai, e se nessunə vuole ascoltarti trasferiscile su carta, scrivile nelle note del telefono, mettile in ordine, memorizzale fino a stufarti, osservale dall’esterno finché non faranno più paura.
Non puoi fare a meno degli altri, ma puoi scegliere chi guardare: chi ti motiva e chi ti blocca, chi ti trasmette la sicurezza a continuare e chi ti angoscia da immobilizzarti.
Si diventa adultə piangendo tutte le tue lacrime senza vergognartene, alzando la mano per chiedere aiuto quando ne hai bisogno, e mostrandoti vulnerabile davanti una società che vorrebbe telecomandarti.
Fermarti non è un fallimento, ma uno step necessario per comprendere a quale ritmo vuoi andare.
Talvolta questo è abbastanza.
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Bellissimo articolo. Molto condivisibile. Complimenti.