Centinaia di manifestanti si sono riuniti in piazza a Belgrado, capitale della Serbia, per chiedere un procedimento giudiziario nei confronti della polizia. Il 26 febbraio scorso due persone queer avrebbero infatti subito abusi durante un raid delle forze dell’ordine.
Gli attivisti che marciavano insieme al gruppo LGBTQIA+ Da Se Zna (che si traduce come “To Be Clear”) hanno affermato che le due persone, la cui casa è stata perquisita in seguito ad accuse di possesso di droga, avrebbero subito abusi, torture e molestie sessuali.
“Spesso ci viene detto che dovremmo mantenere il nostro amore tra le nostre quattro mura”, ha detto a RadioFreeEurope un manifestante. “Non sono d’accordo, innanzitutto, ma vediamo che non ci lasciano stare in pace nemmeno tra le nostre quattro mura.
Un altro attivista, Valerian Savic, ha affermato: “Il mio messaggio oggi è che è necessario educare le forze di polizia alla sensibilità verso la comunità LGBT emarginata e in generale lavorare per sensibilizzare l’opinione pubblica su tutte le questioni LGBT”.
Secondo quanto riferito, è stata aperta un’indagine relativa alla denuncia presentata contro gli agenti e sul contestato raid, per “determinare la veridicità delle accuse“. Gli agenti di polizia “saranno sanzionati secondo la legge se sarà accertato che hanno ecceduto i loro poteri”.
I diritti LGBTQIA+ in Serbia sono fortemente influenzati dalla Chiesa ortodossa serba. Nel 2006 la nuova Costituzione ha definito esplicitamente il matrimonio come “tra un uomo e una donna” (articolo 62). Ad oggi neanche le unioni civili sono ancora diventate legge. Nel giugno del 2017 Ana Brnabić è diventata la prima donna nonché la prima persona omosessuale a diventare premier. Nel 2022 il presidente della repubblica Aleksandar Vučić provò tra mille polemiche a cancellare l’EuroPride 2022 di Belgrado, senza riuscire nell’impresa.
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