Potente, cupo, senza sconti nella rappresentazione dello sperdimento, dell’angoscia, del terrore delle prime vittime di quell’epidemia da 36 milioni di morti che, nel remoto 1981, ancora non si chiamava Aids. È “The Normal Heart”, coinvolgente film tv che si è aggiudicato 16 nominations ai premi Emmy (dodici sono andate alla splendida serie lesbica carceraria “Orange Is The New Black”) e sarà presentato in anteprima per l’Italia il 20 luglio nella rassegna estiva “Una notte in Italia” sull’isola sarda di Tavolara. Prossimamente verrà trasmesso su Sky Cinema in versione doppiata.
Lo dirige Ryan Murphy, vero cineguru delle serie tv queer, autore di “Glee” e “The New Normal”, più abile quando lavora per la televisione rispetto a quando fa il regista per il cinema (vedi il dimenticabile “Mangia prega ama”). Difficile non commuoversi davanti a “The Normal Heart”, tratto dall’omonima pièce teatrale di Larry Kramer, quasi l’anello di cine-congiunzione fra “Angels in America” e “Dallas Buyers Club”, ma più arrabbiato, crudo, senza filtri. Un appassionato pamphlet di denuncia prodotto da HBO, ormai indiscutibile sigillo di qualità (“Six Feet Under”, “Dietro i candelabri”, “Looking”), che dell’epidemia Hiv racconta i primissimi anni, dall’81 all’84, quando si sapeva solo di una rara forma di cancro che aggrediva gli omosessuali, chiamata GRID (Gay Related Immune Deficiency).
Uno scrittore e attivista gay, Ned Weeks, cerca di documentarsi su questa malattia sconosciuta che sta aggredendo la comunità omosessuale newyorchese, grazie all’aiuto della dottoressa Brookner, costretta su una sedia a rotelle a causa di una poliomielite contratta da piccola. Cercherà di coinvolgere anche un giornalista di costume del New York Times segretamente gay, Felix Turner, di cui s’innamorerà ricambiato. Ma sembra che nessuno voglia parlare o scrivere di quelle morti scomode, così Ned, insieme a un manipolo di volontari, fonda la linea di supporto Gay Men Health’s Crisis e cerca di avere risposte dalle istituzioni sempre più latitanti (in particolare si accusa il sindaco di allora, Ed Koch, peraltro gay non dichiarato, di avere ignorato in toto la questione, e la Casa Bianca di avere rifiutato richieste di finanziamento perché riteneva che la malattia non colpisse gli etero e di aver menzionato l’Aids troppo tardi, il 17 settembre 1985, in un discorso pubblico di Ronald Reagan).
Rispetto ai molti film/serial prodotti sull’argomento, “The Normal Heart” è più diretto e meno ammorbidito nella rappresentazione delle conseguenze fisiche della malattia e quindi dello stigma omofobo alla vista di piaghe e lacerazioni dovute soprattutto al sarcoma di Kaposi (con parentesi quasi horror nella scena in metropolitana). Fenomenale il cast: Mark Ruffalo fa vibrare il suo Ned di rabbia e furore, una dolente Julia Roberts è l’agguerrita dottoressa Brookner – magnifica la scena madre in cui s’isterizza per il mancato finanziamento delle sue ricerche – mentre Alfred Molina interpreta il fratello avvocato di Ned con cui ha un rapporto controverso. Ma il più bravo di tutti è il bellissimo Matt Bomer nel sofferto ruolo di Felix, in grado di rendere credibile e non effettata la parte più melò del film (sabato prossimo riceverà il Giffoni Award al festival salernitano il cui slogan, quest’anno, è “be different”). Il divo dichiaratamente gay di “White Collar” dona tutto se stesso in un’elaborata interpretazione alla McConaughey, perdendo ben 18 chili e offuscando la sua avvenenza per dare credibilità estetica al suo Felix malato terminale, per il quale le riprese sono state interrotte cinque mesi.
“Quando Matt è venuto sul set a novembre – ha raccontato Murphy – sono scoppiato a piangere. Ero così preoccupato per la sua salute, perché era arrivato ad un punto tale che, seduto su una sedia, non è riuscito a girarsi per salutarmi, tanto era debole. Ma portava il peso di tutte le persone che sono morte. Ricordo che aveva una scena nella doccia, nudo, in cui doveva svenire, dopo la quale avrebbe indossato dei vestiti, quindi gli dicemmo che poteva iniziare a riprendere peso. Decise di festeggiare mangiando un cracker ma poi lo ha vomitato. Non riusciva a mantenere nessun tipo di alimento, per cui abbiamo chiamato un medico per tenerlo sotto controllo”.
© Riproduzione Riservata