Ua domanda che mi spaventa ma spesso torno a chiedermi: cosa ci fa sbroccare? Non solo perdere la pazienza, ma proprio cosa porta una persona a perdere il lume della ragione e impazzire?
“What it takes to make someone snap?” se lo chiede anche Anne Hathaway, e proprio questo l’ha avvicinata alla sceneggiatura di Eileen, film in uscita oggi in tutte le sale americane (da noi è stato presentato al Festival del Cinema di Roma 2023, e purtroppo, toccherà aspettare il 4 Maggio 2024), che la vede protagonista insieme a Thomasin McKenzie.
Diretto da William Oldroyd e tratto dall’omonimo romanzo di Ottessa Mosfegh, il film ci immergerà negli anni ’60, attraverso gli occhi della Eileen protagonista (McKenzie). La ragazza ‘diversa’, che non pensa a fidanzarsi o mettersi le minigonne, vive con il padre alcolizzato, e lavora in un riformatorio per uomini. Quando conosce Rebecca (Hathaway), nuova psicologa del carcere, scatta qualcosa in lei: l’urgenza di sbocciare, di diventare qualcos’altro, di trasferire le sue ossessioni in quelle di un’altra donna.
Per chi non ha letto il libro (tipo me) tutto questo potrebbe significare niente: sappiamo solo che Eileen prende una piega intensa, imprevedibile, e anche pericolosa. Si tratta di un thriller, un dramma, o un coming of age? Trace Thurman su Letterboxd scrive: “the sapphic rom-com crime drama I never knew I needed”. Per Hathaway è un film su cosa ci triggera, su una collera che non sappiamo tenere a bada. Ma anche la storia di una ragazza che inizia a muovere i primi passi verso sé stessa, verso la vita che desidera, a tal punto da ritrovarsi a fare cose che non avrebbe mai immaginato prima.
Suo padre la definisce ‘qualcuno che le persone non notano: che rimane sullo sfondo senza neanche accorgertene’. Dietro l’apparente anonimato, si nasconde un mondo: disturbi alimentari, tendenze depressive, e una fantasia che la discosta dalla realtà, fino a scadere in pensieri ossessivi e dipendenza dall’altro.
Oggi le diagnosticheremmo una personalità borderline, ma come scrive sul Guardian Ottessa Mosfegh (che ha collaborato anche alla sceneggiatura del film), la sua protagonista è una brillante giovane donna intrappolata nella misoginia di un paesino inglese del 1964, a solo qualche anno dalla rivoluzione sessuale dei primi anni ’70: “La negatività che prova per sé stessa e chiunque altro sembra giustificata” .
La scrittrice è famigliare con (anti)eroine femminili che sovvertono le aspettative di chi legge, tanto che quando nel 2015 il suo romanzo finì nella shortlist del premio Booker Prize, rimase sconvolta.
Perché buona parte delle recensioni, commenti, e interviste non si soffermavano tanto sulla storia, ma sulla ‘scomoda personalità’ della sua protagonista: “Chiunque voleva chiedermi per quale razza di ragione ho scritto una protagonista di genere femminile così “disgustosa“scrive l’autrice “Rispondevo onestamente: perché ho voluto scrivere di una donna così imperfetta? Proprio perché non riuscite a smettere di notare quanto lo sia”
Come spiega Mosfegh, sin dall’alba dei tempi una donna che prova disprezzo per sé stessa è un tabù. Ricordo quando uscì Fleabag: prima che diventasse un fenomeno di culto, la gente faticava a digerire il personaggio di Phoebe Waller Bridge. Il pubblico provava resistenza su una protagonista femminile non accomodante, spesso volgare, e poco in linea a quella corrente ’empowering’ che tanto piace al femminismo liberale.
Eileen, come queste ‘scomode protagoniste’, scappa dal lieto fine preconfezionato e mostra brutalmente tutto quello che prova.
Come scrive Mosfegh: “È un bellissimo dito medio allo stupido paternalismo e una lettera d’amore alla libertà”.
D’altra parte Rebecca è una proiezione, una fantasia a cui aggrapparsi e perdersi dentro: un’unione tra le protagoniste dei film di Alfred Hitchcock (lo stesso nome si rifa a Rebecca. La prima moglie) e l’enigmatica sensualità di Monica Vitti.
Eileen è stato definito un thriller saffico: non sappiamo se si tratta solo di una vaga sfumatura (in una scena del trailer Hathaway bacia McKenzie) e la stessa Mosfegh scrive di non aver mai pensato fosse una storia queer. Ma è un’interpretazione che accoglie volentieri, se permette alle protagoniste femminili di essere attratte l’una dall’altra, sottraendosi a qualunque aspettativa o proiezione esterna.
“Che Dio perdoni una donna che dice liberamente come si sente su sé stessa. Se iniziassimo a farlo tutti, ad essere senza vergognaci, ci ritroveemmo a mettere in discussione tutto quello che la costa società ha costruito “scrive Mosfegh “Un’artista femminile e sicura di sé ci sciocca quanto una ragazza che si odora le ascelle, ed è altrettanto sgradevole”.
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