Aria di novità e tanta energia per Tiziano Ferro che, sull’onda del successo del nuovo album “Il mondo è nostro”, già disco d’oro, si prepara all’atteso tour in Italia che partirà il 7 giugno e toccherà tutto il Paese. Il cantante tornerà quindi per un po’ nel Paese natale, lontano dalla Los Angeles dove vive con il marito Victor e i figli Margherita e Andres.
Da poco disponibile anche il nuovo singolo tratto dall’album, “Addio mio amore” (lo potete ascoltare qui), un brano molto intimo e personale che parla della depressione. Intervistato da Repubblica, Tiziano Ferro ha raccontato di essersi in parte pentito di aver parlato del tema della canzone, pensando che fosse meglio lasciare l’ambiguità.
Il brano immagina la depressione come un’attraente donna che colpisce tutti: “È democratica. La depressione cronica va curata con la chimica, come si cura il diabete, e con un percorso psichiatrico. Il problema è lo stigma: depresso, quindi pazzo”. E ha continuato: “Siamo ancora eredi del senso di colpa italiano; siamo figli della guerra, della povertà, chi soffre è una persona molto più dignitosa. Per cambiare le abitudini di un popolo serve tempo”.
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A proposito di abitudini di un popolo, Tiziano Ferro ha preso un momento anche per parlare di diritti e della situazione politica dell’Italia, considerando anche che l’album è uscito poco dopo le elezioni di settembre che hanno visto Giorgia Meloni salire al governo.
Su questo, il cantante ha voluto fare una riflessione molto più generale: “Non facciamo questo gioco preconcetto: la destra è cattiva. Il problema non è la destra o la sinistra, è la testa. Penso alle unioni civili “attenti a non chiamarle matrimonio”. Proprio uguale non è, anzi è offensivo. Sui diritti siamo indietro. Punto e basta. Li ho visti mancare con tutti i governi”.
“Prima di venire inglobato da questo posto senza sceglierlo avevo comprato una casa a Milano, che poi ho venduto. Volevo fare questa esperienza, diventare padre a prescindere: l’avrei potuta fare? […] Siamo indietro su tutto, chi vuole adottare ci mette dieci anni, non è questione di gay o non gay”
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