Vanadio23 è il brand italiano indipendente fondato nel 2017 a Milano; Andrea Semeghini, il suo creatore, sviluppa attraverso un mix bizzarro tra sesso, gioco, provocazione e positività, un immaginario eccentrico che invita ad abbracciare con ironia la propria sessualità e a liberarsi dalle regole superflue grazie a vestiti, accessori, oggetti.
Il dipinto è il protagonista del progetto, una forte componente pittorica he pervade tutte le collezioni. Vanadio23 abbina il mondo dello streetwear a quello delle illustrazioni con irriverenza, provocazione e illimitato mix di linguaggi e referenze.
Tutto l’universo simbolico di Vanadio ruota intorno al sesso e all’amore: l’origine del nome deriva dalla dea scandinava della bellezza e della fertilità : “Vogliamo che tutt* si sentano sicur*, liber* e a proprio agio con la propria identità sessuale, inclusa l’espressione di genere, l’orientamento e la relazione con il proprio corpo. Attraverso le nostre creazioni, cerchiamo di cambiare positivamente in modo spensierato, leggero e ironico gli atteggiamenti e le norme culturali sulla sessualità e speriamo di promuovere il riconoscimento delle diverse identità sessuali.”
Andrea Semeghini, mente creativa del progetto, realizza le illustrazioni per raccontare ed esplorare il mondo del sesso e dell’erotismo senza alcuna limitazione e tabù; Andrea da diversi anni lavora nell’ambito commerciale per vari brand: Prada, Loewe, Celine, Off-White, nel 2017 dopo aver lavorato parallelamente come pittore per molti marchi di lusso, fonda Vanadio23.
L’abbiamo incontrato per voi.
Come nasce Vanadio23 e quanto c’è di autobiografico nel tuo progetto?
VANADIO23 unisce le mie più grandi passioni, la pittura e la moda, le combina insieme in un mix a caso (alle volte discutibile) ma sempre molto personale. È la rappresentazione più diretta di ciò che mi piace, di quello che più mi incuriosisce e di ciò che mi affascina in quel preciso momento.
È una sorta di diario: investigo di volta in volta ciò che mi interessa e sfrutto diversi mezzi per rappresentarlo, dall’illustrazione alla pittura su tela, dalla moda alla ceramica.
Pensi che le tematiche di inclusività siano realmente sentite dai brand moda o si riducono a semplici speculazioni?
Azz… domandone… la questione dell’inclusività nell’industria della moda è un argomento complesso e varia tantissimo, da brand a brand. Molti marchi hanno abbracciato l’inclusività in modo autentico, promuovendo una rappresentazione più ampia di corpi, etnie, generi e abilità nelle loro campagne, sfilate e prodotti. Questi sforzi hanno avuto lo scopo di trasmettere un messaggio di accettazione e inclusione, riflettendo un autentico impegno verso tali valori.
Tuttavia, è anche vero che alcuni brand hanno adottano tematiche di inclusività principalmente come strategia di marketing o per sfruttare una tendenza di mercato. Ma la moda è ciclica e la genuinità delle cause emerge chiaramente nel tempo. Guardate i corpi: nelle ultime sfilate molti brand sono tornati ai corpi di modell* di spaventosa magrezza, sembravano sfilate degli anni 90.
Quando si tratta dei diritti delle comunità, il famoso ”Rainbow washing” per esempio, il fatto che un marchio si schieri per la causa è già un atto politico di per sé. Questo posizionamento riflette la visione del marchio su quale mondo vuole sostenere e quale pubblico mira a raggiungere. Se un big brand decide di sostenere le istanze della nostra comunità ha un impatto significativo sulla percezione esterna, i suoi gesti sono amplificati, e davvero può arrivare a influenzare l’opinione pubblica più di quanto possano fare io col mio brand indipendente.
Quanto è importante la terminologia nella nostra comunità, siamo realmente così liberi o tendiamo sempre di più e involontariamente a essere schiavi di determinate parole perché tutto deve essere classificato e diversificato?
Le etichette hanno un valore, vorremo vivere in un mondo privo di etichette, ma la lotta per l’accettazione è ancora lunga e prima di abbandonare ogni nomenclatura bisogna fare un lungo percorso di accettazione. Se una cosa non ha un nome non possiamo identificarla e definirsi è fondamentale. I termini sono importanti perché ci permettono di conoscerci, riconoscerci e capire chi siamo. Se fai parte di quell’etichetta sai che non sarai solo.
Stiamo costruendo un vocabolario perché il mondo è complesso, sfumato, ricco, vario; e non ristretto, semplicistico e riducibile a una manciata di lettere. LGBTQ+ per alcuni sono troppe lettere, per altri sono troppo poche. L’auspicio è di un mondo aperto, radicale, libero, nel quale ognuno possa sentirsi accettato. Questo è un mondo più libero in cui stai bene anche tu che usi pochi termini.
Il fastidio nei confronti delle etichette arriva da chi non fa parte di quell’etichetta. Se fai parte di una minoranza marginalizzata, e hai il bisogno di definirti, come posso dirti, io che non ne faccio parte, di non farlo? Non possiamo dimostrarci insofferenti nei confronti di qualcuno che richiede rivendicazione.
Tra il settore moda italiano e quello dell’arte, a proposito delle problematiche legate alla comunità LGBTQ, trovi ci siano differenze di approccio?
Il mondo dell’arte e quello della moda sono business enormi, ognuno con le proprie regole. Il mondo della moda si muove su un business legato alla volatilità del mercato. Esporsi, prendere posizioni, può essere rischioso, poiché potrebbe avere conseguenze negative sull’accettazione da parte del pubblico. Di conseguenza, molti brand cercano di mantenere una certa neutralità per evitare situazioni controverse. Dall’altra parte, l’ambiente artistico è spesso caratterizzato dalla volontà di sfidare le convenzioni e di esplorare proprio quelle tematiche che possono risultare provocatorie o controverse. Nel mercato dell’arte stupire, impressionare, scandalizzare fa parte del gioco quindi di dinamiche legate al mondo LGBTQ+ se ne può parlare più liberamente, anzi mi sembrano già vecchissime e superate.
Sei mai stato censurato?
Sono al terzo profilo TikTok e al secondo Instagram, quindi direi di sì.
Non voglio ridurre i contorni della censura solo a un mondo social, ma in un mondo virtuale in cui i social rappresentano la mia vetrina principale, non solo di comunicazione, ma anche di vendita e di sviluppo del brand, beh questo rappresenta un grandissimo problema per me.
Se dovessi fare una t-shirt/ceramica/etc dedicata ai lettori di Gay.it, cosa ci scriveresti(Vanadio x Gay.it)?
Amici di Gay.it ma io ho già la scritta giusta per voi: VERI VERI VERI GHEI non vi piace?
Claim utilizzato per una serie di grafiche presenti nella mia collezione di t-shirt e ceramiche per il Pride dell’anno scorso, mi sembra adatta no? Preferite il piatto FINOKKIO?
https://www.instagram.com/vanadio23.insta/
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