Un gruppo di donne trans schiavizzava altre ragazze trans: 11 arresti

A Castel Volturno spedizioni punitive, statuine decapitate, macumbe e intimidazioni

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Castel Volturno: gruppo di donne trans schiavizzava e sfruttava altre ragazze trans
Castel Volturno: gruppo di donne trans schiavizzava e sfruttava altre ragazze trans
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Magia nera, macumbe, spedizioni punitive: così 11 tra donne transgender originarie del Brasile e sodali gestivano con il pugno di ferro un circolo di sex working a Castel Volturno, nel casertano, tra le violenze sulle ragazze – anch’esse trans – e i viaggi per “importare” dal Sudamerica le ignare “nuove leve”.

Leggi: cosa significa decriminalizzare il sex working >

Oggi, sono tutt* accusat* di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù, alla tratta di esseri umani, al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di connazionali, nonché di sfruttamento del sex working.

“L’attività nasce a seguito di due denunce presentate al commissariato di Castel Volturno da una donna trans, che svelava l’esistenza di un sodalizio criminale dedito alla prostituzione (sex working ndr) che sfruttava altre donne trans del litorale. A capo delle operazioni, [deadname ndr] Santos De Silva, ovvero Pamela – spiega il poliziotto in servizio alla squadra mobile della questura di Caserta, dinanzi la Corte di Assisi  del tribunale di Santa Maria Capua Vetere – Abbiamo proceduto ai riscontri di quanto denunciato come la riscossione del lunedì operata presso due appartamenti in via Alessandria dove avveniva l’attività di prostituzione (sex working ndr). La riscossione dei proventi dell’attività veniva effettuata da Pamela”.

Il commissario ha poi fornito dettagli sull’operazione condotta negli alloggi situati in zona Ischitella, dove Pamela, insieme ad altre sei imputate, è stata sorpresa con ingenti quantità di denaro derivanti dal giro di sex working.

Pare che la donna mantenesse anche stretti rapporti con Fatima, traduttrice accusata dal tribunale di Milano di facilitare l’accoglienza delle connazionali – arrivate in Italia per poi finire nella trappola – fornendo loro l’autorizzazione necessaria per l’ospitalità.

Coloro che provavano a staccarsi dal circuito subivano ritorsioni, tra cui vere e proprie spedizioni punitive e aggressioni.  Ma anche punizioni al limite del paradossale.

Come mezzo di coercizione, venivano infatti impiegate anche magia nera e macumbe: un episodio rilevante menzionato dal testimone riguarda infatti il ritrovamento di teste decapitate di statuette e frutti di caco pestati davanti all’abitazione di una delle persone che aveva presentato denuncia.

Forniti poi ulteriori dettagli sui ruoli assunti dalle accusate all’interno dell’organizzazione. Una certa Paula fungeva da braccio destro per Pamela, occupandosi della direzione e del monitoraggio delle vittime.

Daniel svolgeva invece un ruolo polivalente: chaperon per scortare le sex worker nei luoghi in cui si incontravano con i clienti, gestiva anche le transazioni finanziarie e le prenotazioni dei voli provenienti dal Brasile, oltre ad occuparsi dell’acquisto di lingerie e giocattoli erotici.

Una struttura ben organizzata ed estremamente remunerativa, sulla pelle però di ragazze ignare che, al loro arrivo in Italia, sognavano probabilmente una vita migliore.

È fondamentale tuttavia riconoscere come le radici profonde di simili episodi di sfruttamento nel settore del sex working siano profondamente intrecciate alla sua criminalizzazione. Una marginalizzazione che non fa altro che alimentare zone grigie, dove l’abuso e il sopruso trovano terreno fertile, lontano dagli occhi della legge e delle tutele sociali.

Riaffermare il diritto alla sicurezza e alla dignità per chi opera in questo campo passa necessariamente attraverso un cambiamento che ne riconosca la professionalità e implichi intrinsecamente tutele e diritti, invece che etichettare ogni forma di sex work come degrado.

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