Triptorelina, prima di accedervi bisognerà sottoporsi a una terapia riparativa?

Abbiamo parlato con Manlio Converti – medico psichiatra e presidente di Amigay APS - per avere la prospettiva di un professionista sanitario sugli esiti dell'ispezione al Careggi di Firenze.

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Triptorelina, prima di accedervi bisognerà sottoporsi a una terapia riparativa? - triptorelina terapia riparativa 1 - Gay.it
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Nelle scorse ore, la relazione sull’ispezione al Centro per le terapie di affermazione di genere all’Ospedale Careggi è stata resa pubblica.

Abbiamo condiviso con voi il testo completo ieri, sottolineando – tra le altre cose – che nessun esponente della comunità LGBTQIA+, né tantomeno di quella trans*, abbia avuto un ruolo nel redigerlo per volontà di questo governo.

Ciò che salta all’occhio sin da subito è sicuramente il martellante continuo riferimento alla necessità di percorsi psicoterapeutici e psichiatrici da sottoporre all* minori trans* che desiderano intraprendere un percorso di transizione di genere, quasi come se si dovesse tentare il tutto per tutto di “curare” la loro incongruenza di genere.

Ma, scavando più a fondo, le incoerenze e le criticità del testo sono ben più profonde.

Ne abbiamo parlato quindi con Manlio Converti – medico psichiatra e presidente di Amigay APS, associazione per la promozione, la tutela e la formazione sulla salute delle persone LGBTQIA+ – per avere la prospettiva di un professionista sanitario sulla questione.

Triptorelina, prima di accedervi bisognerà sottoporsi a una terapia riparativa? - Transgender triptorelina - Gay.it

Dott. Converti, chiariamo una volta per tutte: qual è l’utilizzo della triptorelina come farmaco bloccante della pubertà per l* minori trans* e gender variant? Ci sono davvero rischi a lungo termine?

Il farmaco Triptorelina è comunemente utilizzato, senza controversie, nei minori sotto i 12 anni per trattare la pubertà precoce, pratica in uso dal 1984. Abbiamo dati da studi prospettici che confermano la sua sicurezza, permettendo di interrompere il trattamento all’arrivo della pubertà adeguata, così da garantire che questa avvenga nell’età giusta.

Il secondo uso del farmaco, in questo caso come off-label, è appunto quella per i Minori Gender Variant nella prima fase dell’adolescenza, detta Tanner 2. Alcuni studi importanti, ma retrospettivi hanno dimostrato che la Triptorelina è sicura anche in questo caso.

Tuttavia, l’analisi del rischio non viene più approfondita come in passato, poiché l’interesse per gli off-label si sposta verso l’efficacia del trattamento in relazione alla patologia, sia retroattivamente.

Nonostante il governo britannico sia l’unico a iniziare uno studio prospettico sull’uso per Minori Gender Variant, altre ricerche, quindi, esistono, contrariamente a quanto dichiarato dal nostro ministero, che erroneamente sostiene  l’assenza di studi e tuttavia si rifiuta di promuovere ulteriori ricerche.

Per quanto riguarda l’efficacia del trattamento essa non è uguale in tutti i Minori Gender Variant.

Nei maschi transgender, i benefici sono massimi, riducendo o eliminando lo sviluppo del seno e incrementando l’altezza, facilitando o      eliminando la necessità di future operazioni chirurgiche se il trattamento prosegue poi con l’uso di testosterone.

Invece, per le ragazze transgender, l’utilizzo è consigliato solo in presenza di una vera e conclamata disforia – che sottolineo, non è presente in tutte le persone trans* – per evitare effetti indesiderati come un incremento eccessivo dell’altezza, che potrebbe portare a difficoltà sociali.

Si devono valutare anche difficoltà chirurgiche, come la creazione di una neo-vagina, se i genitali maschili non si sviluppano adeguatamente a causa del trattamento con Triptorelina.

Ci sono ovviamente anche dei vantaggi, rispetto all’aspetto del volto, del collo, della massa muscolare e della peluria del corpo e del volto. Quindi il suo uso va valutato a seconda delle esigenze anche estetiche per ogni diversa ragazza transgender.

È cruciale essere onesti con i pazienti e le loro famiglie riguardo ai potenziali benefici e rischi del trattamento, enfatizzando l’importanza di un approccio basato sul consenso informato e la psicoterapia affermativa, e rifiutando categoricamente le terapie riparative, pericolose e inefficaci.

Dopo questa introduzione, vorremmo ora approfondire il contenuto della relazione ispettiva sull’operato del Careggi in questo senso. A una prima lettura, cosa ne pensa?

Rispetto al documento del Ministero bisogna ammettere che, in effetti, ci troviamo di fronte a delle complessità notevoli. Il testo presenta delle criticità intrinseche, oltre a numerose ripetizioni che ne ostacolano la comprensibilità.

Un esempio evidente di questa confusione riguarda il riferimento ai ‘caregivers’. Non è chiaro se il termine si riferisca ai genitori, agli operatori del centro, o a entrambi. Soprattutto non si capisce il motivo per cui il minore sarebbe l’artefice di un ‘ricatto emotivo’ verso il caregiver, portando quest’ultimo a compiere scelte che danneggiano direttamente il caregiver.

Quindi il testo pensa di dover difendere il caregiver (parente o operatore che sia) da scelte del caregiver, che danneggiano il caregiver per colpa del minore gender variant.

Una bella confusione direi ed una assurda accusa che mette genitori e figli uno contro l’altro. Ritengo che l’uso di termini così carichi come ricatto affettivo ed emotivo sia anacronistico; persino Lombroso si sarebbe astenuto dall’usarli.

Sono tuttavia d’accordo sul fatto che il centro non sia particolarmente efficace nel gestire pazienti provenienti da fuori regione. A questo proposito, emerge la necessità di aprire un centro per ogni ASL, o almeno uno per regione nelle zone centrali del Paese, ma di questo il Ministero non parla, di fatto abbandonando al nulla assoluto i Minori Gender Variant del resto d’Italia.

Lei ha accennato a una differenza tra terapie riparative ed affermative. Secondo le direttive ministeriali in relazione al protocollo AIFA del 2019, c’è il rischio che si tenti di “curare” l* minori trans* invece che aiutarl*?

Noto che il 90% delle ripetizioni riguardano il ruolo degli psicologi e dei neuropsichiatri infantili. Le si ripete così spesso nel documento che sembra lo si faccia per convincersi della loro correttezza, nonostante non sia effettivamente così.

Il problema principale sta nell’applicazione alla lettera del protocollo AIFA, che trasforma psicologi, psicoterapeuti e neuropsichiatri infantili in terapeuti riparativi. In altre parole, diventano professionisti che cercano di cambiare l’identità di genere del paziente.

Questo è inaccettabile ed anche la AIFA lo poteva sapere perché già dal 2016 era stata pubblicata la Nota WPA (associazione mondiale degli psichiatri) che definisce le terapie riparative inutili, dannose quando non vere forme di tortura.

Nonostante questo, concordo sulla necessità di condurre una diagnosi differenziale per identificare eventuali problemi familiari o dinamiche sociali, valutare la presenza di deficit cognitivi e comprendere se il paziente sia in grado di gestire la terapia farmacologica che desidera intraprendere.

È importante sottolineare che la decisione di somministrare questi farmaci dovrebbe basarsi sulla richiesta del paziente, non su un’indicazione diretta dei medici.

Mentre quest’ultima parte è assolutamente fondamentale e sarebbe auspicabile che più centri si occupassero di questo tipo di valutazione, è essenziale che tali controlli siano condotti da psichiatri, psicologi e altri specialisti competenti, ma in Psicoterapia Affermativa e Consenso Informato, per poi, eventualmente, indirizzare i pazienti all’endocrinologia, soprattutto nel caso di adolescenti.

Su questo punto, il senatore Gasparri ha sostenuto più volte che i farmaci bloccanti della pubertà venissero somministrati “come caramelle” ai minori che si rivolgevano al centro. Cosa ne pensa?

Come ho sottolineato anche in precedenza, la politica ha fatto una grossa confusione riguardo l’uso della Triptorelina nei minori prepuberi.

È vero che la Triptorelina viene generalmente negata ai minori prepuberi, a meno che non ci sia la Pubertà Precoce, che ne rappresenta l’indicazione principale. Siccome il Careggi inviava i dati sui pazienti che fanno uso di Triptorelina senza distinguere in modo sufficiente i due diversi percorsi, forse questa confusione è anche colpa loro.

I minori prepuberi con Pubertà precoce, si capisce dalle parole stesse, sono  solo teoricamente prepuberi a causa della loro età, ed in realtà necessitano di un intervento con la Triptorelina per gestire la loro condizione patologica.

L’obiettivo è ritardare la pubertà fino all’età adolescenziale appropriata, per poi sospendere il trattamento e permettere loro di attraversare l’adolescenza nel momento giusto. L’esatto opposto di quanto serve ai Minori Gender Variant.

Generalmente, viene somministrata all’inizio dell’adolescenza, intorno ai 12 anni, tranne nei rari casi in cui il minore gender variant sia anche un minore con pubertà precoce.

Per loro si rispetta lo stadio Tanner 2 della pubertà per iniziare la terapia mentre si attende i 12 anni per finire la terapia nel caso di Pubertà Precoce. La confusione recentemente sollevata da figure come Gasparri deriva da una rappresentazione errata e non differenziata dell’uso della Triptorelina, senza distinzioni chiare tra le dosi i tempi di somministrazione, opposti tra loro, per i minori prepuberi e quelle per i minori gender variant.

Una corretta differenziazione è cruciale per evitare malintesi e manipolazioni, in questo caso, da parte dei politici.

Attivist* e associazioni per la promozione e la tutela dei diritti delle persone transgender si battono da anni contro la patologizzazione delle loro identità. Il governo, tuttavia, sembra martellare sulla necessità di percorsi approfonditi, quasi per tentare di scongiurare l’incongruenza di genere.

La preoccupazione esiste, e in un certo senso è giustificata, sulla necessità di strutturare percorsi psicologici e psicoterapeutici più solidi.

Tuttavia, insistere sull’approccio psichiatrico quando non ci sono disturbi evidenti, non fa altro che patologizzare ulteriormente, cosa che trovo problematica. La mia domanda è: la neuropsichiatria infantile viene coinvolta solo per la diagnosi differenziale rispetto ad altre patologie psichiatriche, come la psicosi?

Questo approccio del Ministero mi sembra superficiale. Perché un paziente psicotico può essere chiaramente anche transgender; le due condizioni non si escludono a vicenda. Posso citare personalmente almeno due minori gender variant, ai quali ho fornito brevi consulenze, che erano chiaramente affetti da disturbi psicotici — uno schizofrenico e l’altro con psicosi maniacale — e che erano inequivocabilmente transgender.

I farmaci psicotropi, utilizzati per trattare la psicosi o la schizofrenia, non hanno in alcun modo modificato la loro condizione di transgender, perché queste sono due condizioni distinte. Essere transgender non rende una persona immune da malattie psichiatriche.

Chiaramente, la psicosi va trattata prioritariamente; solitamente viene gestita in uno a tre mesi. Dopo aver stabilizzato la psicosi, si può rivalutare se persiste l’incongruenza di genere e decidere i passaggi successivi nel percorso di affermazione di genere. Questa dovrebbe essere la procedura chiara.

Questa nota sembra contraddirsi perché, come giustamente hai sottolineato, sembra utilizzare la neuropsichiatria infantile, la psicoterapia e la psicologia come forme di terapia riparativa, trattando la disforia di genere come una patologia psichiatrica da curare inizialmente con questi strumenti. Il Ministero poi, solo in caso di fallimento di queste terapie, considera l’utilizzo della Triptorelina. Questa logica non ha senso per me.

Parlando ancora di patologizzazione delle identità transgender, negli ultimi anni il dibattito sull’approccio dell’ambiente sanitario alla questione è accesissimo: urge un chiarimento.

La disfonia di genere – che ripeto, non è presente in tutte le persone trans* – è classificata come malattia mentale, non l’identità trans* di per sé.

Il ministero riconosce, correttamente, che non ci dovrebbe essere intervento psichiatrico dove non esiste malattia mentale. Anche se il DSM-5 attualmente la cataloga come tale, e continuerà a farlo nella sua prossima edizione.

La distinzione è importante perché, mentre il DSM si concentra sulle questioni psichiatriche, l’ICD-11, che copre un’ampia gamma di condizioni sanitarie secondo l’OMS, non definisce più la disforia di genere strettamente come una malattia mentale, ma come incongruenza di genere, un termine che facilita l’accesso a trattamenti ormonali e chirurgici senza l’etichetta di malattia mentale.

La disforia di genere è ancora elencata come una patologia mentale nel DSM-5, e questo crea una contraddizione evidente. La WPA aveva già ha dichiarato nel 2016 che le terapie riparative, che sono state proposte anche nella nota del ministero per trattare la disforia di genere, costituiscono una violenza psicologica contro il paziente LGBTI.

Questo tipo di psicoterapia riparativa, oltre a procrastinare l’accesso al trattamento medico necessario, può causare danni psicologici significativi.

C’è una contraddizione fondamentale nel discorso: se la disforia di genere è una malattia mentale, come può un neuropsichiatra infantile decidere di non intervenire se non rileva una malattia mentale? Questo è il paradosso. Se il DSM definisce la disforia di genere come una malattia mentale, come può essere ignorata per l’accesso al trattamento?

In Italia, usiamo l’ICD-9 per la prassi giuridica, scaduto il 17 maggio 1990, invece del più recente ICD-11, ma nelle corti dei tribunali si preferisce il DSM.

Sarebbe utile chiarire questi termini e standardizzare l’uso, specificando che la disforia di genere, secondo il DSM, non dovrebbe escludere l’accesso a trattamenti come la Triptorelina. La situazione attuale rischia di diventare una trappola burocratica che può avere conseguenze gravi per il benessere dei pazienti transgender.

Ora che abbiamo ben chiari i punti teorici – a differenza, a quanto pare, di chi ha steso questa relazione – parliamo delle conseguenze delle nuove direttive sul pratico.

Se devo aumentare il numero di visite ai pazienti e implementare un programma di psicoterapia intensiva per un determinato periodo prima di concedere l’accesso alla Triptorelina, si creano due ostacoli principali.

Il primo è la formazione di una lista d’attesa, che il ministero non riconosce ufficialmente. Questo problema è aggravato dal fatto che, per quanto ne so, tutte le strutture sanitarie in Italia sono sotto organico.

Questo porta a un terzo problema. I pazienti in lista d’attesa possono sperimentare un peggioramento della loro salute mentale e fisica. C’è anche il rischio che questi pazienti possano iniziare ad usare estrogeni e testosterone senza supervisione medica, il che è estremamente pericoloso.

Le persone si stancano di aspettare, anche perché intanto l’adolescenza naturale non desiderata avanza rapidamente, e possono cercare di procurarsi questi ormoni da sole, ma, ovviamente, non possono ottenere la Triptorelina, che non è disponibile sul mercato nero.

Questo porta all’uso incontrollato di estrogeni e testosterone, che sono sostanze    potenzialmente pericolose.

Il secondo problema riguarda la durata del processo di valutazione e della cosiddetta terapia  riparativa. Se questa fase si protrae troppo, i pazienti potrebbero non ricevere la Triptorelina  quando ne hanno davvero bisogno. La finestra di tempo durante la quale la Triptorelina è efficace è limitata nella vita di una persona gender variant.

Se le valutazioni e le sedute terapeutiche si prolungano eccessivamente, l’accesso al trattamento diventa inutile.

E infatti, se la terapia con Triptorelina viene concessa troppo tardi, non serve più perché il corpo ha già subito le modifiche del sesso non desiderato. Quindi, alla fine, ci si chiede se questo ritardo sia intenzionale, anche se personalmente non posso affermarlo con certezza.

Il terzo problema, come accennavo, è la mancanza di azione del Ministero nel riconoscere l’inefficacia del centro per persone che provengono da altre regioni e nel non promuovere l’apertura di nuovi centri in tutte le ASL.

Questo lascia la decisione all’iniziativa individuale di qualche direttore generale illuminato, il quale, senza un chiaro indirizzo ministeriale, deve affrontare costi elevati in termini di personale per attivare un centro simile a quello di Careggi, dedicato sia ai minori che agli adulti, con una equipe multidisciplinare di terzo livello.

In assenza di direttive ministeriali, la situazione attuale non offre soluzioni reali, costringendo le persone gender variant a peggiorare la propria salute mentale o a ricorrere all’uso non regolato di ormoni, oppure a sperare che un direttore generale decida di investire in un nuovo centro, assumendosi un elevato onere finanziario.

Insomma, chi è fortunat* a nascere in una regione dove esistono centri d’eccellenza forse ha una speranza. L* altre, quasi sicuramente, no. Facciamo l’avvocato del diavolo: il Careggi ha davvero sbagliato qualcosa?

Il Careggi ha commesso peccati veniali. L’assenza di un PDTA. Quello devo dire la verità mi meraviglia che non ci fosse un PDTA.

Il PDTA non è un protocollo, perché sono due termini diversi. Sono le procedure sanitarie ma sono diverse tra loro.

Il protocollo è estremamente rigido e ti dice esattamente cosa puoi fare e cosa non puoi fare, il  PDTA invece è un percorso diagnostico-terapuetico che dà delle indicazioni su chi fa che cosa, ma lascia maggiore elasticità e libertà di scelta per adattarsi alle esigenze del paziente.

Il Ministero in effetti in questa nota dice che ogni paziente è diverso dall’altro. Per cui non può esistere un protocollo perché un protocollo sarebbe estremamente rigido ma di fatto utilizza la nota AIFA come un protocollo.

Invece di inserire la nota AIFA con elasticità all’interno di un PDTA pretende che questa diventi un protocollo.

Quindi, anche se loro comunque riconoscono che ogni paziente è a sé, comunque tutti i pazienti devono seguire il protocollo? Tra PDTA e protocollo evidentemente al ministero non sanno la differenza.

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Johnwhite 22.4.24 - 20:59

Non credo che un commento possa fare la differenza visto le censure che ho avuto nella mia vita nel caso. Ho l'impressione che la democrazia stia vacillando. Ad affermare che la triptorelina sia concessa come caramelle è una follia di Gasparri dal partito di Forza Italia. Un omosessuale da solo non ha i mezzi di telecomunicazione ne l'affermazione democratica per combattere l'omofobia e sostenere la libertà d'uso della triptorelina negli ospedali quando somministrata adeguatamente. I casi di uso corretto sono più che sufficienti per preoccuparsi. Non ho mai negato che i gay siano anche transgender, piuttosto potrei avere una definizione non condivisibile da tutti degli stessi. Non posso che far accadere ciò che accadrà.

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