Il voltapagine

Un'altra recensione sull'ultimo romanzo di David Leavitt, che evidentemente fa discutere

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L’uscita dell’ultimo romanzo di David Leavitt, “The page turner” (“Il volta pagine” Mondadori) riporta finalmente in libreria un romanzo dell’autore statunitense, che il pubblico ha imparato a seguire negli anni, godendosi, ogni volta, pagine intrise di uno spudorato spirito di sfida nei confronti di una cultura ancora piuttosto chiusa alle tematiche gay.

Iniziando coi suoi racconti d’esordio “Family dancing” (“Ballo di famiglia”) per terminare in tempi recenti (almeno in Italia) con una raccolta di scritti pubblicati come curatore (“L’ultima generazione perduta”), David Leavitt si è sempre schierato in modo abbastanza stabile su una posizione abbastanza rigida: quella di far vivere nei suoi romanzi e racconti solo protagonisti omosessuali. Atteggiamento per cui, fin dagli inizi “gloriosi”, la stampa lo ha coperto di critiche, a cui Leavitt, candidamente, replica che, se John Updike crea sempre personaggi eterosessuali, lui può creare solo personaggi omosessuali.

Al di là di questa sterile polemica, per noi lettori gay la produzione di Leavitt rappresenta, credo, un importante passo avanti. Con lui, per quel che riguarda la letteratura americana, siamo giunti a un superamento totale della soglia del non detto. Che l’autore si apra all’angoscia come in “Ballo di famiglia”, o alle sventure dell’amore come in “La lingua perduta delle gru”, o ancora ai dolori incrociati di “Eguali amori”, Leavitt richiama dal nostro profondo le angosce e le gioie che ci appartengono in quanto omosessuali, felicità e dolore che sono nostre proprio perché, bene o male, ognuno di noi si trova a compiere dei percorsi in tutto simili a quelli intrapresi dai personaggi dei romanzi sopra citati.

Con “Il voltapagine” Leavitt ci ripropone una storia di iniziazione, quella del giovane Paul, uno studente di pianoforte che un giorno si trova a voltare le pagine dello spartito del suo pianista preferito Richard Kenninghton. Da questo semplice evento nasce tutto l’intreccio, la breve relazione italiana tra il “maestro” e il fan, la vita omosessuale di Paul, i guai familiari per la madre di Paul (anch’essa innamorata del pianista). Al di là della trama spicciola, quello che secondo me attrae di più in questo libro è una attenzione ai personaggi adulti, che in passato Leavitt aveva tratteggiato con il linguaggio di chi descrive qualcosa che ancora non gli appartiene. Adesso che l’autore stesso si trova in una età molto lontana dai 18 anni di Paul, si nota un calore e una precisione più attenta proprio nei confronti di quei personaggi come la madre di Paul, il Richard e il suo compagno, nonché produttore. Mentre la sua penna scivola con sicuro mestiere sulla vita di Paul, possiamo notare come la psicologia della madre e del pianista sia approfondita con sapienza addolcita dalla delicatezza e da un affetto che, in effetti, mitigano tutto lo spirito del libro che, se non è il capolavoro dello scrittore, ha però il grandissimo vantaggio di non trascinare il lettore (come facevano i precedenti romanzi) nell’angoscia. Per una volta tanto David Leavitt non si sofferma sui guai dei suoi personaggi affondando il coltello nel cuore del lettore, ma lascia un tiepido ambiente di serena riflessione.

Ultima notazione, del tutto personale, in questo libro esiste forse una sola paura autentica, che forse istintivamente è quella di tutti i fan, e forse è stata ed è il terrore di Leavitt rispetto a quelli che lui vede come i suoi “maestri” (George Elliot in primis): quello di non tutto il talento, quello della mediocrità. Per Paul, studente assiduo, ma non sufficientemente dotato, si prospettano dischi per profani od orchestre modeste…e per Leavitt…? Quale è il suo futuro? Quanto ha ancora da imparare? Quanto ha da insegnare? Quale immagine si riflette nel suo specchio, quella del virtuoso di fama internazionale, o quella del ragazzo comune…

Beh a noi non spetta di dare ungiudizio, noi godiamo dei libri di un autore che consideriamo, nel bene e nel male un fratello maggiore: piangiamo, ridiamo, riflettiamo e, con lo sguardo perso, facciamo tesoro di sensazioni che, lo sappiamo, ritroveremo al prossimo romanzo di Leavitt.

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