Pontedera, 18enne cacciato di casa dopo il coming out: “Niente figli gay, vattene”

Il ragazzo, che deve ancora finire la maturità, è oggi ospitato da un professore e aiutato dallo sportello Voice di Pontedera.

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omofobia ragazzo giovane gay
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Niente figli gay, vattene”. Così, un 18enne di Pontedera, in provincia di Pisa, si è visto sbattere la porta in faccia dai propri stessi familiari, al culmine di un lungo periodo di tensione iniziato dopo il suo coming out.

Il ragazzo, che deve ancora finire le scuole superiori, si è trovato da un giorno all’altro senza una casa dove tornare, e senza una rete di sostegno su cui fare affidamento. Completamente solo, senza un soldo, si è affidato alla generosità di amici e conoscenti per trovare sistemazioni temporanee.

Per un periodo, ha soggiornato fuori dalla Toscana, una decisione sofferta, data la sua volontà di concludere gli studi.

Fino ad arrivare allo sportello del centro Voice di Pontederafinanziato dall’UNAR, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali – che nello specifico si occupa anche di accogliere ragazz* in difficoltà, rifiutati dalla famiglia a causa del proprio orientamento sessuale o identità di genere.

Mi hanno detto di andarmene perché tra i figli non andavo bene. Mia sorella è rimasta in casa, io no” ha raccontato l’adolescente ai volontari di Voice.

Le fonti presso l’istituzione hanno comunicato di aver avuto un confronto diretto con i familiari del giovane, allo scopo di valutare la possibilità di superare le divergenze. Tuttavia, sembra che le circostanze non fossero favorevoli. Era stato anche proposto alla famiglia di partecipare a un incontro presso lo sportello dedicato, ma questa non ha preso parte all’appuntamento.

Oggi, il ragazzo è ospitato a casa di un professore, che si è offerto di fornirgli una sistemazione temporanea almeno finché non sosterrà l’esame di maturità. Nel contempo, è stato messo in atto un supporto psicologico e sono stati coinvolti i servizi sociali nell’iter.

“Il ragazzo è stato molto contento che sia stata trovata una soluzione, all’inizio non sapeva dove andare – spiega Emiliano Accardi, coordinatore di Voice – “Quello del docente è stato un gesto non scontato e importante. Il nostro centro intanto continua a offrire il servizio psicologico. Abbiamo un gruppo di esperti, anche per gli aiuti legali e per questioni inerenti il lavoro”.

Una situazione apparentemente fuori dal mondo, che però è il vissuto di innumerevoli giovani LGBTQIA+ che in Italia cercano ancora il proprio posto nel mondo, dopo essere stati rifiutati dalla propria famiglia a causa della propria identità di genere od orientamento sessuale.

Famiglie impreparate e terrorizzate dalla diversità, che invece di arricchire sgretola i rapporti, e lascia profonde ferite nella psiche di chi si vede accusato di qualcosa su cui non ha controllo.

Da quando è stato lanciato un anno e mezzo fa, il progetto Voice di Pontedera ha già aiutato oltre 25 persone. La platea non si limita ai giovani; anche lavoratori e famiglie alla ricerca di sostegno e informazioni su come affrontare un coming out in famiglia, si sono rivolti al progetto.

“Sono venuti alcuni genitori – continua Accardi – perché il loro figlio ha chiesto di avviare un percorso di transizione di genere e avevano bisogno di strumenti per capire come affrontare al meglio questa fase. Oltre alla la difesa dei diritti, portiamo avanti un percorso di sensibilizzazione e promozione culturale”.

Anche se, ultimamente, sembra di lottare con i mulini a vento, e di mettere solo pezze instabili su un’enorme voragine di mancanze da parte delle istituzioni. Complice anche un governo di ultradestra che più volte si è scagliato contro la minoranza LGBTQIA+, il clima di ostilità verso le identità non conformi non fa che peggiorare.

Un’ideologia con connotati sempre più disturbanti, che per imporre la propria egemonia di pensiero calpesta anche le fasce più vulnerabili della popolazione. Lo abbiamo visto prima con l’attacco indiscriminato alle famiglie arcobaleno – e di conseguenza, all* loro bambin* – e oggi con la minaccia di limitare ancora di più il diritto all’autodeterminazione dell* giovani trans*, con l’apertura di un tavolo tecnico per “valutare” la somministrazione di triptorelina in ambito di transizione di genere.

L’omobitransfobia istituzionale sanguina oggi anche sulla collettività, che si ritrova ancor più legittimata a rivolgere attacchi contro le minoranze vulnerabili, non risparmiando neanche l’ambiente in cui un* giovane dovrebbe sentirsi più al sicuro: la propria famiglia.

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