Scalfarotto fa lo sciopero della fame per le unioni civili: ma perché?

Il sottosegretario sciopera per una legge che il suo premier ha promesso: che senso ha?

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Con un articolo uscito oggi su Repubblica , il sottosegretario Ivan Scalfarotto fa sapere che da lunedì ha iniziato uno sciopero della fame per spingere all’approvazione del DDL Cirinnà sulle unioni civili. Perché lo fa sapere solo oggi? Perché, ammette, non era sicuro di riuscire a resistere con soli due cappuccini al giorno. Del resto, non tutti hanno la resistenza di Gandhi o di Pannella che di scioperi della fame ne hanno fatti molti di più e senza neanche i due cappuccini al giorno.
Ma non è questo il punto. Il punto è: perché un sottosegretario del governo decide di scioperare per sostenere una legge che il suo premier ha promesso più volte?

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Il dubbio è che si riproponga un copione abbastanza logoro che si appronta dentro il centrosinistra ogni qual volta c’è da legiferare a favore delle persone LGBT: promettere chissà quali epocali cambiamenti che poi, puntualmente, non si mantengono. Si è già visto con la legge contro l’omofobia, poi divenuta legge sull’omofobia (e che, ricordiamolo, la legittima nelle scuole e la tutela nelle chiese) e che porta proprio il nome del sottosegretario Scalfarotto. Il ddl approvato alla Camera con il voto decisivo dei centristi omofobi, si è poi puntualmente arenato al Senato.

Anche il linguaggio utilizzato dall’onorevole sembra essere simile a quello messo in campo allora, per “difendere” la sua proposta: «bisogna sostenere questa legge», chiedendo aiuto a una massa critica che, di fatto, il progresso sui diritti civili lo auspica pure ma che il Pd non è in grado (né vuole, a quanto pare) intercettare. E sembra anche riproporre quello scaricabarile tipico del renziano al potere: si fanno le leggi? Merito del Pd. Non si fanno? Colpa di chi non li sostiene. Come si legge su Repubblica: «il mite Scalfarotto, uno che non alza mai la voce e chiede sempre permesso prima di parlare, ha deciso di mettere in gioco il suo corpo. Contro Renzi? “Assolutamente no, lui ha preso un impegno pubblico e forte, anche il mio ministro, Maria Elena Boschi, sta facendo il possibile. Ma è evidente che, senza una mobilitazione da fuori, rischia di essere tutto vano”». Tanto per cambiare, non è colpa di una classe politica in grado di imporre accelerazioni solo a corrente alternata, ma di chi, fuori del parlamento, non fa abbastanza. Peccato che i meccanismi della democrazia rappresentativa siano determinati dalla logica della delega. Tradotto in parole più semplici: io ti do mandato per fare le leggi, tu le fai. Sempre che ne sia capace.

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Insomma, che un renziano di ferro se ne esca con queste trovate mediatiche getta un’ombra pesantissima sulle possibilità di riuscita dell’approvazione del ddl. Soprattutto in quel ramo del parlamento dove già la già citata legge “contro” l’omofobia, molto più blanda per altro, è stata bloccata.

Al di là dei dati politici evidentissimi – maggioranza risicatissima alla camera alta, scarsa volontà dei vertici del Pd di spendersi in questa battaglia, inconsistenza politica di un governo ricattato da un partitino di inquisiti come l’Ncd – bisognerebbe soffermarsi un attimo sulla credibilità di quello che si configura come un ennesima boutade mediatica (e di chi ci sta dietro): il governo di cui Scalfarotto fa parte non ha avuto problemi a fare riforme impopolari e violentemente contestate dalla società, a partire dalla cosiddetta “buona scuola”. La proposta di legge sulle unioni civili, invece, è l’unica verso cui le contestazioni maggiori arrivano dal palazzo stesso e che nella società vede da una parte l’opposizione di una minoranza retriva che sta tutta dentro piazza San Giovanni, dall’altra l’appoggio anche di quel mondo “eterosessuale progressista” che Scalfarotto vorrebbe sensibilizzare e che è già sceso in piazza con i pride svoltisi finora. Il Pd, così risoluto su altre questioni, si fa dunque ricattare da quella minoranza? È in grado di dettare una linea politica o no? Perché il sottosegretario non protesta contro la “libertà di coscienza” decisa come linea del suo partito proprio sulle unioni civili? Al netto di questo, è ridicolo che un sottosegretario faccia lo sciopero della fame per un’iniziativa del suo stesso partito. Riusciamo a immaginarlo un Poletti che manifesta in egual modo per il jobs act o una Boschi per la riforma del Senato?

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Scalfarotto è dentro il governo, ovvero è nella stanza dei bottoni. Sa cosa succede lì dentro o no? È forse consapevole che, dichiarazioni e retroscena a parte, la volontà nel suo governo non c’è? Facendo in tal modo non è che stia cercando di smarcarsi agli occhi dell’opinione pubblica? È capace di contare qualcosa, su questi temi, dopo essersi proposto sin dalle primarie del 2005 come rappresentante LGBT dentro il suo partito? Interrogativi che serpeggiano dentro la gay community italiana – basta vedere i sentimenti palesati sui social – e che pongono un problema di credibilità politica non solo del personaggio in questione, ma del suo intero partito.

Credibilità che è già vacillata più volte, ai tempi del subemendamento Gitti e quando ospite di Manif pour tous, Scalfarotto posò sorridente con quella stessa gente che oggi contesta . Credibilità già messa a durissima prova dal Pd stesso ai tempi dei PaCS (era il 2005), poi divenuti DiCo (2007), poi divenuti nulla. Speriamo che il finale, almeno stavolta, sia del tutto diverso.

di Dario Accolla e Caterina Coppola

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