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Vergognarsi e spogliarsi lo stesso: intervista con Rooy Charlie Lana, tra desiderio e non binarismo

L'artista sarà presente alla III°edizione della non-fiera di arte contemporanea (un)fair, per parlare di identità, corpi, e desideri nascosti.

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Rooy Charlie Lana
Rooy Charlie Lana
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Sarà il desiderio il tema portante della terza edizione di (un)fair, fiera non fiera di arte contemporanea in programma dall’1 al 3 marzo 2024 al Superstudio Maxi di Milano.

A cura di Manuela Porcu e Laura Gabellotto, e co-prodotta da Superstudio Events e realizzata con il supporto di un Comitato scientifico composto da esperti del mondo dell’arte e della comunicazione, l’evento esplora le contraddizioni e sfumature dei nostri desideri attraverso 60 gallerie nazionali e non, tra Giappone, Messico, Iran, Turchia, Ungheria, Spagna.Tra i paesi rappresentati figurano Giappone, Messico, Iran, Turchia, Ungheria, e Spagna.

Da Candy Snake con le opere di Naomi Gilon e i suoi anti-desideri, ai lavori di Ilaria Fasoli, che uniscono immaginazione e mistero, fino alle pop immagini fluide di Mattia Sarti, fino a Maroncelli 12 con le opere del quotato artista portoghese Daniel Goncalve, ma anche Elena Simoni, Marie Sugimoto, Margareta Senkova e Alberto Gagliardi.

Tra i nomi di spicco non mancherà Rooy Charlie Lana (she/her, he/him) artista classe ’95, espertə nel campo delle arti visive performative e degli studi queer, che ci accompagnerà nei bagni di Superstudio Maxi, e chiederci: dove va a nascondersi il nostro desiderio? Come smantellare le scale gerarchiche e culturali che ne vincolano la libertà espressiva ancora oggi?

Lo fa con l’installazione Glimpse,va cura di Caterina Benvegnù e realizzata specificatamente per questa edizione. Protagonista è Transghost, strumento d’indagine dell’artista e identità senza orientamento o genere, che indossa uno zentai verde, tuta integrale e super aderente a metà tra gli sfondi chromakey e le pratiche BDSM, con doppia funzione: annullarne i tratti fisionomici e al contempo mostrarlə come un corpo intermedio, che supera il binarismo di genere e si fa manifesto.

Negli scatti, realizzati da Giacomo Bianco ed Evelin Mazzaro in collaborazione con Rooy Charlie Lana, seguiamo Transghost in ambienti diversi tra bagni pubblici o spazi di cruising, dove prova piacere, gioca con oggetti gonfiabili, si nasconde, si strugge. Tra rimandi al cruising o la pornografia online,  il desiderio si nasconde, trova rifugio, sente mancanza, ma è  libero.

La mia ricerca artistica esplora i nascondigli del desiderio. Per la campagna di comunicazione di (un)fair 2024 ho lavorato su un formato da manifesto pubblicitario che però riuscisse a ritrarre scene di cruising, di bagni pubblici dove abitano desideri nascosti. Sono incontri casuali ed eccitanti che mimano la produzione di piacere con oggetti gonfiabili” spiega l’artista “In questi scatti appare Transghost, un corpo-identità altro rispetto alle definizioni uomo/donna, etero/omo etc.., che è riconoscibile attraverso lo zentai verde, una tuta integrale e aderente, uno strato superficiale, epidermico capace di nascondere i tratti fisionomici distintivi quali il volto e il colore della pelle di un essere umano“.

Durante l’opening del 29 Febbraio, Rooy Charlie Lana presenterà Drip – studio version – performance site-specific dove due corpi Transghost, abiteranno spazi della fiera interponendosi tra visitatori, stand, e gallerie – e parteciperà al talk Transghost: una mappa del desiderio tra gesto performativo e materia insieme a Cateina Benvengu il 1 Marzo alle 18:00.

Per saperne di più ne abbiamo parlato direttamente con ləi.

Cresciamo in una società dove sembra che tuttə vogliono fare sesso ma quasi nessunx sa spiegarcelo o tantomeno raccontarcelo, senza orpelli o censure. Pensi che l’arte sia un veicolo per comprendere meglio la nostra sessualità, lì dove le istituzioni stanno fallendo?

Sentiamo davvero la necessità di istituzionalizzare la sessualità? Forse bisognerebbe soltanto disimparare dal modello patriarcale, piuttosto che insegnare qualcosa. Le istituzioni per propria forma sono ormai da decenni intrise di logiche patriarcali. L’arte è uno dei molti strumenti utili a mettersi in dubbio.

In Transghost viene completamente a meno ogni definizione, e i soggetti della tua opera sfuggono al binomio maschio/femmina, gay/etero o quant’altro. Per tua esperienza, senti che le “etichette” siano una via d’uscita o un’ulteriore “gabbia” in cui chiudersi?

Le questioni di genere e identitarie non sono propriamente etichette. Quelle le lascerei volentieri alle merci, ovvero ai brand che devono vendere prodotti o servizi per produrre consumo. Il binarismo di genere è una finzione secolare che serve a controllare i corpi. Siamo molto più complessx di così, bisognerebbe abbracciare la complessità. Transghost attua una parodia dei codici estetici e sociali delle identità per far evincere la finzione che è insita in ognunx di noi.

Nei bagni pubblici Transghost può fare tutto quello che vuole: divertirsi, struggersi, nascondersi, o provare piacere. Vorrei comprendere meglio la scelta di questi specifici spazi: dentro un bagno o uno spazio di cruising, possiamo permetterci di essere più vulnerabili? Se sì, perchè secondo te?

Uno spazio di cruising è uno spazio altro, il piacere e il desiderio modificano il cesso pubblico e la sua destinazione d’uso che diventa intricata di finalità private. È il principio di vicarianza, che Transghost attua alle pratiche sessuali e ai corpi. Transghost è fragile perché fragile è il desiderio. Non ci si cela dietro la parete dei pisciatoi ma forse dietro alle proprie domande esistenziali.

Nel 2024, credi sia possibile rendere ‘queer’ un’istituzione di base eteronormata come il matrimonio?

Ho vissuto per sette anni a Venezia e quasi ogni giorno mi sono imbattuta in coppie eterosessuali, provenienti da tutto il mondo, che celebravano matrimoni fittizi in mezzo alle calli e ai campi, con tanto di attore nel ruolo di prete e finte omelie e promesse d’amore. È stato per me molto chiaro che l’istituzione matrimoniale è fittizia soprattutto per le coppie etero. Le lascerei volentieri alle le loro illusioni di amore eterno. Per sempre felici e contenti.

Siamo così abituatə al peso della morale e del giudizio altrui, da porre un veto anche su quello che desideriamo o sulle nostre fantasie. Secondo te quando smettiamo di vergognarci dei nostri desideri?

Tutt’oggi mi vergogno ma mi spoglio.

Potete leggere il programma completo dell'(un)fair milano qui

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