La prima volta che ho visto Estranei sono tornato a casa.
Letteralmente: ho preso un treno da Milano solo per guardarlo in anteprima al Festival del Cinema di Roma. Ma sono anche tornato a quando avevo otto anni e chiedevo sempre a mia madre di non addormentarsi prima di me. All’epoca se mi svegliavo e lei non c’era, mi alzavo e andavo a dormire nel letto insieme ai miei genitori. Ventun’anni dopo sono in grado di dormire senza mia madre, ma quella paura me la ricordo ancora bene.
Prima della proiezione ce ne stavamo tuttə strettə come sardine sulle (scomodissime) poltrone dell’Auditorium della Conciliazione in attesa di vedere Paul Mescal e Andrew Scott sullo schermo : niente spoiler, ma nei mesi precedenti un commento su Letterboxd aveva già fatto il giro dei social per dirci che “Scott fa qualcosa sul petto di Mescal da far impallidire la scena della pesca di Call Me By Your Name“. Vuoi mettere? A dieci chilometri da San Pietro? Chiamatela pure, la magia del cinema.
Ma ad un quarto d’ora dall’inizio, ci accorgiamo che la famigerata scena dura meno di 0.5 secondi, e ce la siamo già dimenticata. A discapito di quello che vi diranno, il nuovo film di Andrew Haigh non vuole farvi partire l’ormone: è la storia di Adam (Scott) un uomo che ogni tanto torna a trovare i suoi genitori, morti nel 1987 in un incidente d’auto quando aveva dodici anni. La casa dov’è cresciuto è come l’ha lasciata, insieme ai giochi in cameretta, l’albero di Natale in soggiorno, i Pet Shop Boys allo stereo.
È una storia di fantasmi, quelli che abbiamo incontrato una volta, e rimangono a infestarci a distanza di anni per chiederci: se potessi tornare indietro, cosa recupereresti? È una domanda rivolta a tuttə, ma se sei una persona queer tocca un nervo più scoperto di altri. Da piccolə a malapena avevamo le parole per spiegarle certe cose. Se appartieni ad una specifica generazione, e siete cresciutə in un contesto famigliare che quelle cose le conosceva solo tramite la televisione o “quello che si dice in giro”, forse ti sei abituatə “a scappare di continuo” come faceva Adam. “Moltə di noi sentono che i nostri genitori probabilmente sapevano che eravamo diversə già da piccolə, allora perché non ci hanno aiutato?” spiega il regista al TIME “Ma allo stesso tempo, non volevamo che ci aiutassero perché eravamo terrorizzati di cosa sarebbe accaduto se avessimo dichiarato chi eravamo”.
Quando trent’anni dopo Adam dice a sua madre che è gay non sembra proprio un coming out: è più un aggiornamento su come vanno le cose, un chiarimento con un genitore che se n’è andato troppo presto per conoscere quella parte di te. A differenza di Claire Foy, lei risponde come risponderebbero alcune mamme rimaste negli anni Ottanta: “Oh dio, e quella orribile, malattia mortale?” Niente paura, oggi le cose sono cambiate. Ma come glielo spieghi a tua madre morta che oggi non sei solo perché gay, ma perché basta un ricordo per sbloccare la stessa paura che provavi a dodici anni? Che la solitudine di quando eri bambino ti segue ovunque vai, anche quando non c’è più da nascondersi?
In questo senso Estranei è come una sessione di terapia di due ore: una macchina del tempo per smussare quelle parti di te che hai lasciato nell’armadio. Per accertarsi che ci siano anche bei ricordi, e snodare quel groviglio che ti porti dentro. È un film per chi che ha imparato a dormire da solə, ma ancora immagina che ci sia qualcunə ad aspettarlə tutta la notte. È un film che spezza il cuore, come alcune parti del passato che vanno sbloccate per andare avanti e aprirne di nuove. Poco importa chiedersi se quello che Adam sta vivendo sia fantasia, realtà, o parte un lungo sogno: a fine visione potreste risvegliarvi anche voi, e scegliere di non scappare più.
Estranei (All Of Us Strangers) è nei cinema italiani questo giovedì 29 Febbraio.
Qui potete leggere la nostra recensione in anteprima del film
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