Si è spenta ieri, all’età di novantotto anni, Lisetta Carmi.
Fotografa, concertista, e militante, Carmi scopre la fotografia nel 1960 – con una Leika regalata dal padre – quando lascia il pianoforte e si dedica a raccontare i volti e le vite di chi rimane ai margini, con incredibile sensibilità e umanità: dedicandosi in un primo momento alla vita degli operai, durante una festa di Capodanno nel 1965, a Genova, Carmi scopre il mondo delle persone transessuali italiane, presso il “ghetto” queer di Via del Campo. “Ho scoperto la sofferenza e la solitudine di persone davvero perbene” scrisse Carmi, diventando una delle prime nel nostro paese a dare spazio ad uno dei gruppi più marginalizzati della nostra comunità, in un’epoca che bollava ancora la transessualità come malattia mentale da debellare.
Scegliendo di mostrare e celebrare “chi dava fastidio”, anche Carmi risentì l’ostilità del sistema eteronormato e transfobico: il suo libro (oggi cult) “I travestiti” fu rifiutato da ogni libreria del paese e la definirono “una sporcacciona”. Ma quella tra Carmi e le persone trans* fu una relazione d’amicizia di quasi sei anni, con impatto indelebile sia sul piano sociale che personale: “Sentivo di star facendo qualcosa di eccezionale in un mondo dominato da bieco perbenismo e da un potere che li usava e li sfruttava.” scrisse Carmi “Prima di morire, la Morena, una di loro, mi ha chiamato per salutarmi e mi ha fatto vedere il mio libro. Lo conservava come un bene prezioso“. Terza figlia con due fratelli maschi, la stessa Carmi più volte si è interrogata sulla propria identità di genere, ma l’incontro con le persone trans le ha permesso di uscire fuori dai rigidi binari svelandole una realtà mille volte più sfaccettata dove “non esistono maschi e femmine, ma esseri umani”.
Ma la vita e la carriera è stata un lungo viaggio di scoperta e contatto con il mondo, facendo “in 18 anni quello che si fa in 50”: dall’incontro con Ezra Pound che ha definito un uomo “dall’anima immensa e un poeta infinito, immenso” ai reportage in Sicilia e in Sardegna, che per 10 anni definì Terra dell’Esilio: documentò la Calendaria – grande festa celebrata l’ultimo dell’anno a Orgosolo, riportando donne in preghiera, pastori, e architetture tipiche della cultura sarda, e momenti di inaspettata tragedia (come la morte di un carabiniere durante uno scontro a fuoco). Si spostò anche tra Venezuela,Germania, Svizzera, e Israele, ritraendo campi profughi e dando dignità ad una realtà che la rattristò immensamente ma meritava tutto il suo spazio.
“Sono convinta che un buon fotografo -è colui che vede l’altro, che sente l’essenza del mondo in cui si muove – aveva confidato la fotografa.” disse Carmi “Ho un merito, quello di aver lavorato tanto, e ho avuto una grande fortuna: riuscire a vedere oltre le cose”.
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