La battaglia ideologica di questa primavera 2024 si chiama Triptorelina, farmaco utilizzato nel trattamento delle persone minorenni transgender e gender non conforming, con il governo italiano che da mesi fa propaganda sulla vita degli adolescenti. Dopo il caso Careggi e il tavolo tecnico per “valutare” la somministrazione in ambito di affermazione di genere, con il governo che ha ottenuto l’approccio patologizzante, è la Lega ad aver presentato una mozione in regione Lombardia, con prima firmataria Alessandra Cappellari. “Il suo utilizzo è considerato off label, ovvero al di fuori delle indicazioni terapeutiche specifiche del farmaco. Ritardando lo sviluppo questi bambini possono essere sottoposti all’intervento di riassegnazione chirurgica del sesso, che risulterà meno invasivo anche a livello psicologico in quanto non si sono ancora definiti i caratteri sessuali“, si legge nella mozione, sottoscritta da dieci su quindici consiglieri della Lega al Pirellone e basata su dati infondati e privi di alcun riscontro.
Il partito di Matteo Salvini punta all’attivazione di un tavolo ministeriale che elabori “nuove specifiche linee di indirizzo sull’utilizzo della triptorelina nei casi di disforia di genere“. Nell’attesa vorrebbe vietare la prescrizione del farmaco “in tutti i casi non previsti dalla scheda del prodotto rilasciata dalla casa farmaceutica“.
Luca Paladini, consigliere regionale del Patto civico, ha parlato di una mozione “dalla venatura transfobica“. Paladini ha ricordato come la triptorelina non venga “somministrata come una caramella“, ma dopo “un lungo percorso“, consentendo “di guadagnare tempo per riflettere in modo consapevole, riducendo in modo significativo stati depressivi, rischio suicidario e comportamenti autolesivi”. “È insopportabile l’uso strumentale di una faccenda molto seria per sventolare la mozione elettorale sulla pelle delle persone in transizione“.
Sul piano tecnico-giuridico, la mozione leghista è inutile, come rimarcato da Rete Lenford.
La mozione leghista richiede infatti l’emissione di un provvedimento non di competenza regionale, come più volte sancito dalla giurisprudenza costituzionale ed amministrativa. Il Consiglio di Stato nel 2020, con sentenza n. 8033, ha già chiarito che le Regioni non possono sovrapporre la propria valutazione tecnica a quella già compiuta dall’AIFA a livello nazionale in quanto, se così fosse, si verrebbe a creare una disparità di trattamento tra cittadini italiani residenti in diverse regioni con riferimento al diritto alla salute costituzionalmente garantito. Secondo lo stesso Consiglio di Stato resta preclusa, quindi, alle Regioni la previsione, sia in via legislativa che amministrativa, di un regime di utilizzabilità e di rimborsabilità contrastante e incompatibile con quello stabilito, in via generale e sulla base dei pareri emessi dalla competente Commissione consultiva tecnico-scientifica dall’AIFA a livello nazionale.
Già la Corte Costituzionale, nel 2011 con la sentenza n.8, aveva chiarito che le Regioni non hanno alcuna competenza o potere di incidere o individuare condizioni diverse rispetto a quelle stabilite dal legislatore per l’uso dei farmaci al di fuori delle indicazioni registrate dall’AIFA. Aveva inoltre specificato che tale attività, ove posta in essere, integrerebbe un elusione del ruolo che la legislazione statale attribuisce all’Agenzia Italiana del Farmaco.
La mozione leghista che si discuterà oggi in consiglio, chiaramente ideologica, è quindi univocamente diretta a far compiere alla Regione Lombardia un atto che le è precluso per legge.
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