Addio Virgil Abloh, ecco perché avevamo ancora bisogno di te

Ecco come ha iniziato e come ha cambiato la moda il creativo nero nell’industria più bianca e meno inclusiva al mondo. Da Kanye West alle più folli co-lab con Vuitton, Nike e Ikea.

virgil abloh
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6 min. di lettura

Come la pioggia in un giorno d’agosto la notizia della morte di Virgil Abloh lascia tutti con un senso di amarezza e smarrimento. La dipartita del creativo più influente degli ultimi dieci anni, osannato dal mondo della moda, del design e del lusso è oltremodo sconvolgente.

Designer, artista, musicista, direttore creativo oltre a marito e padre di due bambini, in poco più di dieci anni, Abloh è passato da essere lo spin-doctor di Kanye West con una laurea in architettura, al ruolo di direttore creativo di Louis Vuitton, imponendosi di fatto come il creativo più influente dell’industria moda.
La visione e la storia di Abloh hanno rivoluzionato il significato del ruolo del creativo per la sua visione, ma soprattutto per la comprensione della realtà, ovvero del potere nella società contemporanea. 

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Da un lato Virgil non ha mai fatto mistero che la sua arte è stata dichiaratamente ispirata al movimento situazionista e al ready-made: in The Ten, la linea che ha fatto esplodere nel mainstream Off-White, Virgil ha ricontestualizzato silhouette iconiche di Nike con grafiche ed elementi che hanno spezzato l’illusione scenica della classica sneaker.  Ad esso ha aggiunto l’elemento collaborativo: i media, il resell – ovvero i consumatori e i fan – che sono diventati parte attiva del processo artistico aggiungendo e spesso di fatto creando il valore del singolo prodotto. Come Jeff Koons, Abloh non era un artista che creava materialmente le sue opere, piuttosto aveva l’ambizione di raccontare la realtà. Diceva:

“I’m trying to record our now. Make a contemporary recording of what is happening in the outside world.”

Per quanto potesse sembrare una missione semplice, Abloh era cosciente di quanto il concetto stesso di realtà sia complesso, che il compito dell’artista non è quello di guardare dall’alto e giudicare, quanto piuttosto di interagire con la realtà linkando punti apparentemente lontani.

Noi vogliamo ricordarlo per le cose più cool e influenti che ha creato.

  1. nel 2002 Virgil Abloh, allora 22enne, neolaureato in ingegneria civile con studi di architettura avviati, e Kanye West si incontrano e cominciano una collaborazione artistica su più livelli, musicale, stilistica e di art direction in generale.
  2.  Nel 2009 finiscono insieme a Roma da Fendi per seguire un periodo di stage ed esercitare così idee e progetti. Da lì ad essere nominato suo art director e disegnare le cover degli album di Kanye è davvero un attimo, siamo nel 2011 e la moda di Off-White è ancora lontana.

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3. Nel 2012, esattamente il 12/12/12, Virgil decide di lanciarsi nella carriera di fashion designer con una collezione di felpe, t-shirt e shorts dal nome Pyrex Vision e vendute nello store RSVP di Chicago. La direzione stilistica è sempre stata quella, così come l’arte, di arrangiarsi e di massimizzare le risorse. La prima collezione, ormai rarissima anche nei canali di re-selling, è stata creata con pezzi di scarto di felpe Champion e Ralph Lauren a cui sono state aggiunte grafiche e lettering semplicissime. Il prezzo si aggirava su poche centinaia di dollari e la fila fuori dal negozio contribuì ad aumentare l’hype tra i giovanissimi e amanti dello streetwear. Pyrex Vision ha dato il via a quella che sarebbe stata una lunghissima rivoluzione della moda street.

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4. La linea Pyrex Vision dura un solo anno, Virgil ha in mente altri progetti per sedersi sul trono della moda. Fonda nel 2013 Off-White spiegandone prontamente il significato: una zona grigia che risiede tra il nero e il bianco, appunto l’off-white, sull’abbigliamento basic del mondo sportswear come tute e felpe, e all’inizio Virgil non fa altro che apporre inizialmente segnaletiche ultra grafiche, scritte e frecce bianche, che tuttavia diventeranno presto il simbolo del lusso street.
La prima volta nella moda donna per Virgil avviene in occasione della Paris Fashion Week nel marzo 2015 quando viene selezionato tra gli 8 finalisti della seconda edizione del concorso per giovani talenti LVMH Prize. Ma non è ancora arrivato il suo momento, a vincere il primo premio di 300 mila euro sarà il brand inglese-portoghese Marques’Almeida, mentre Simone Porte di Jacquemus se ne aggiudica uno da 150 mila con menzione speciale.

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5. Nel frattempo arriva Nike che nel 2017 chiede a Virgil di rimettere mano a quelle che saranno le più desiderate sneakers Nike della storia recente del brand del baffo, The Ten. 10 modelli rivisti e customizzati dalla visione di Off-White.  È Abloh Fever! anche questa volta Virgil è furbissimo decidendo di alterare solo il 3% dello stile di ogni calzatura giusto per non spezzare il legame visivo dei fan con le scarpe.

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6. Il successo del ragazzo di origini ghanesi nato a Chicago nel 1980 non si ferma. Nel 2018 Abloh viene nominato Direttore Creativo della linea moda uomo Louis Vuitton e in qualche modo un grande cerchio si chiude: uno dei più grandi brand di lusso del pianeta affida la collezione a lui, l’uomo che ha ridefinito l’approccio al lusso, consegnandone le matrici alle nuove generazioni.

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Da quando Virgil ha scalato le montagne russe del fashion non sono arrivate in ritardo le voci della sua “scarsa originalità” infatti non sono pochi i brand che l’hanno accusato di copiare spudoratamente da Paige passando per Helly Hansen toccando Viktor&Rolf, Walter Van Beirendrock e il logo dell’aeroporto di Glasgow, 100% identico alle frecce inscritte nel quadrato di Abloh. Peccato che il logo scozzese sia stato registrato nel 1965 e porti la firma del graphic artist Kinneir Calvert. Per queste ragione è stato opportuno alla fine del 2019 mettere a posto ogni cosa, logo incluso. Il nuovo design del brand riporta le parole “Off” e”White” divise da una silhouette di una persona le cui mani si agganciano alla parte inferiore delle due parole.

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Virgil aveva capito quando e quanto l’aspetto manageriale del proprio lavoro sia direttamente proporzionale all’impatto reale sul mondo. Per questo non si è pianto addosso quanto ha perso Pyrex (poi celebrato nel 2019 con una mostra), non ha rimpianto il post-Kanye West (che spesso ha cercato di diventare creativo della moda quanto Virgil). Innovando i suoi prodotti, come un vero millennial, Abloh non si è mai davvero innamorato dei propri progetti.

In questo senso, Virgil Abloh ha rinnovato il significato della parola “creativo”, storicamente ancorata alla fantasia, al genio che non si abbassa alla realtà del mondo. Nella cultura post-capitalista del mondo occidentale il creativo non può prescindere dall’elemento politico, dal calarsi all’interno del mercato e cercare di giocare – e a volte piegare le sue leggi – rendendo il mercato stesso un “gesto artistico”.

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Sembra un concetto astratto, eppure ha a che fare con il contemporaneo: i ragazzini che oggi rivendono le sneaker o capi di streetwear, fanno come Virgil, e bilanciano in maniera simile ad Abloh le conoscenze creative sui trend e quelle invece pratico-manageriali nella gestione di una vendita o di un bilancio. 

Questa è secondo me la vera rivoluzione di Abloh: aver svincolato la vena artistica dal conflitto con il mercato, averli messi insieme e sintetizzati come un unicuum, per quanto questa cosa possa far storcere il naso ai vecchi fashion nostalgici di un Novecento finito vent’anni fa.

Virgil aveva una visione molto chiara della sua carriera e sapeva che poco è accaduto per caso. Creativo nero nell’industria più bianca e meno inclusiva al mondo. Il suo arrivo a 40 anni su una poltrona creata appositamente per lui non sarebbe stato soltanto un punto d’arrivo, ma la vita non sai mai cosa ha in serbo per te, così una sera di novembre se ne va senza fare rumore, e mi piace pensare che magari si sia ricordato di Valentino Garavani che nel giorno della sua ultima sfilata, nel giorno del suo ritiro nel 2007 disse: è meglio lasciare la festa quando ci si diverte di più.

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