Il matrimonio tra il principe del Brunei, Abdul Mateen (figlio del Sultano Hassanal Bolkiah) e la consorte, Yang Mulia Anisha Rosnah riflette un’immagine di ricchezza e splendore che la maggior parte di noi può solo sognare.
I media di tutto il mondo hanno riportato i dettagli minuziosi di questa sontuosa cerimonia: gli abiti disegnati da stilisti di fama mondiale, i piatti gourmet serviti agli ospiti, i musicisti di fama internazionale che hanno intrattenuto l’élite riunita, fino all’hair stylist italiano, Alessio Evangelistella, scelto per curare l’immagine del sultano che definisce un “amico umilissimo”.
Anche il gigantesco palazzo, con le sue 1.788 stanze, sembra uscito da un racconto delle Mille e una notte, un simbolo del potere e della ricchezza della famiglia reale del Brunei. Che però è a capo di un paese che dal 2019 minaccia di lapidare gli omosessuali.
In Brunei esiste la pena di morte per omosessualità?
Strano a sentirsi, fino a sei anni fa l’omosessualità era legale in Brunei. La legge sulla pena di morte per lapidazione è recente: introdotto nel 2019, non senza un’ondata di indignazione e condanna a livello internazionale, questo provvedimento faceva parte di una più ampia implementazione della Sharia – la legge islamica – nel sistema legale del paese, a partire dal 2014.
In risposta alle preoccupazioni espresse da vari governi occidentali, organizzazioni per i diritti umani e altre entità – ma anche al boicottaggio della catena di hotel di proprietà del Sultano incoraggiato da George Clooney tramite una vastissima campagna di sensibilizzazione internazionale – era stata annunciata una moratoria poco dopo.
Nonostante l’adozione del regolamento, quindi, non vi sono stati fino ad oggi casi confermati di esecuzioni tramite lapidazione per atti omosessuali in Brunei. Ma questo non ci fa sicuramente stare più tranquill*.
La moratoria – che può essere ritirata facilmente e in qualsiasi momento a seconda dei capricci del Sultano– implica infatti che la legge sia tecnicamente in vigore, sebbene non venga applicata.
E non impedisce peraltro l’incarcerazione e la violenza contro le persone LGBTQIA+, che in Brunei non hanno la possibilità di esprimersi, né tantomeno di riunirsi. Per gli “atti carnali contro l’ordine naturale”, la pena detentiva minima resta comunque di 20 anni.
Di affermazione di genere non se ne parla nemmeno, e chiunque sia “beccat*” anche solo ad indossare abiti definiti “non conformi al proprio sesso biologico” viene multato o – peggio – arrestato.
Nell’aprile del 2014, in occasione dell’entrata in vigore della prima parte del codice penale, Amnesty International aveva già espresso le sue profonde preoccupazioni.
“Il codice penale del Brunei è profondamente viziato da una serie di disposizioni che violano i diritti umani – commentava Rachel Chhoa-Howard, ricercatrice di Amnesty International –. Oltre a imporre pene crudeli, inumane e degradanti, esso limita in modo evidente i diritti alla libertà di espressione, religione e credo e legittima la discriminazione contro donne e ragazze”.
Il Brunei, fino a oggi, non ha infatti formalizzato la sua adesione alla Convenzione contro la Tortura e Altre Pene o Trattamenti Crudeli, Inumani o Degradi e ha rifiutato di accogliere le raccomandazioni proposte durante la Revisione Periodica Universale del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite nel 2014.
A livello globale, le normative sui diritti umani classificano chiaramente ogni forma di punizione fisica, inclusi metodi come la lapidazione, l’amputazione o la flagellazione, come atti di tortura o punizioni crudeli, inumane e degradanti, vietandone categoricamente l’uso in qualsiasi circostanza.
Queste pratiche, che il Brunei non ha ancora formalmente rifiutato attraverso la ratifica dei principali trattati internazionali sui diritti umani, sono in palese contrasto non solo con i dettami di questi accordi, ma anche con le norme inderogabili del diritto internazionale consuetudinario.
Nessuna quantità di oro o splendore può offuscare la verità evidente: la persistenza di pratiche crudeli e inumane rimane una macchia indelebile sullo scenario dei diritti umani a livello globale.
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