A maggio dell’anno scorso, il Senato approvava all’unanimità una mozione per impegnare il governo a lavorare per la depenalizzazione globale dell’omosessualità, ancora oggi illegale in circa 70 Paesi del mondo.
È stato però chiaro fin da subito che questa apparente promessa di non belligeranza – anzi, di sostegno e alleanza – nei confronti della comunità LGBTQIA+ non sarebbe stata mantenuta da un governo che aveva già precedentemente intrapreso una spietata crociata ideologica contro famiglie arcobaleno e – successivamente – carriere alias nelle scuole.
Quindi non c’è da stupirsi se oggi Giorgia Meloni posa sorridente insieme ad esponenti dei governi di ventitré paesi che ancora criminalizzano l’omosessualità – qualcuno con la pena di morte – al vertice Italia-Africa in svolgimento in queste ore.
Il vertice affronta lo strombazzato Piano Mattei, ambizioso progetto da 5,5 miliardi di euro volto a stabilizzare economicamente i paesi africani coinvolti, con il duplice scopo di favorire lo sviluppo locale e di contenere i flussi migratori verso l’Europa.
Un obiettivo nobile sulla carta, a lungo posticipato da un Occidente che per secoli ha considerato l’Africa come inesauribile serbatoio di risorse, trascurando le devastanti conseguenze sulle terre sfruttate e sulle popolazioni indigene, che spesso continuano a vivere in condizioni di estrema difficoltà.
Tuttavia, risulta evidente l’omissione di un’attenzione specifica alla questione LGBTQIA+ sia nell’agenda dei lavori sia nelle dichiarazioni dei politici e degli esperti intervenuti.
Tale mancanza si rivela particolarmente grave considerando che il rispetto dei diritti umani dovrebbe costituire il fulcro e il criterio fondamentale nella definizione di accordi di cooperazione, specialmente con quei paesi che, negli ultimi anni, hanno registrato un preoccupante deterioramento delle condizioni di vita delle minoranze sessuali – che costituiscono una parte dei richiedenti asilo nel nostro paese.
Un approccio disattento e, secondo Hilaire Kamga, giurista camerunense, il fulcro del problema nei rapporti tra Africa e occidente.
“Il sostegno dell’occidente alla società civile in Africa è limitato e non sufficientemente incisivo. Gli investimenti in questo ambito rappresentano meno del 10% del sostegno totale dell’UE in Africa, con una priorità data a settori come l’ambiente, l’istruzione e la salute. È necessario invece un approccio trasversale, basato sui diritti umani, anche per ottenere risultati significativi in questi settori”.
Eppure, la stessa Ursula von der Layen, sempre più vicina alla premier soprattutto sui dossier legati all’immigrazione e alla cooperazione con i Paesi africani, sembra non preoccuparsi più troppo delle implicazioni etiche nel chiudere ingenti accordi con paesi non allineati con la visione UE in ambito di non-discriminazione, inclusione e salvaguardia dei diritti e della dignità dell’essere umano.
Va infatti sottolineato che, negli anni recenti, numerosi paesi africani hanno intensificato le proprie leggi anti-LGBTQIA+, scatenando una persecuzione sistematica che coinvolge, tra gli altri, Uganda, Burundi, Kenya e Senegal. Ministri e capi di stato di questi paesi, proprio oggi, stringono la mano ai rappresentanti del nostro governo. Ma perché dovremmo preoccuparcene?
La situazione dei diritti umani ed LGBTQIA+ in Africa
Secondo l’ultimo rapporto di Amnesty International – che analizza la situazione dei diritti umani in quattordici paesi africani – la comunità LGBTQIA+ africana si starebbe “avviando all’estinzione”.
Ben 31 paesi del blocco persistono nel criminalizzare non solo l’omosessualità, ma anche tutto ciò che si discosta dall’eterocisnormatività – in un ritorno alla “tradizione” che sarebbe il traino verso la riconquista della sovranità africana in sfida alle imposizioni occidentali.
Quando istituzioni come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Europea degli Investimenti, decidono di ritirare i loro finanziamenti all’Uganda in segno di protesta, le società africane interpretano infatti queste azioni come un tentativo dell’Occidente di esercitare un nuovo tipo di colonialismo, un tentativo di imporre la loro superiorità economica per promuovere un cambiamento culturale che le teocrazie islamiste vedono come degenerativo e decadente.
Ed è proprio da questo cortocircuito che si inaspriscono le già draconiane leggi ugandesi, che prevedono la pena di morte per “atti omosessuali” mentre gli attivisti vengono accoltellati per strada in pieno giorno, ed è così che capi di stato africani filorussi corteggiano i BRICS, più allineati con le loro visioni estremiste.
Parallelamente, la Russia ha di fatto intensificato la sua influenza in Africa, anche attraverso campagne di disinformazione mirate a condizionare gli apparati democratici dei singoli Paesi africani.
È però realmente giunto il momento in cui l’Italia, pilastro fondamentale dell’Unione Europea e custode dei suoi valori essenziali (anche ma non solo in ambito di inclusione e rispetto verso le minoranze), si pieghi a rinunciare a questi principi per intraprendere accordi superficiali, focalizzati solo sul trattamento dei sintomi e non delle cause?
La scelta di ridurre l’Africa a un semplice token economico anziché riconoscerla come un partner eguale, con cui sviluppare un dialogo bilaterale e costruttivo che superi gli interessi economici di breve termine, è l’unica rimasta?
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