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Condominio antigay di Torino: parla l’uomo accusato di stalking

Nello stabile di Torino regna l’omertà e il negazionismo. E intanto uno dei ragazzi è stato aggredito di nuovo

Condominio antigay di Torino: parla l'uomo accusato di stalking - via paravia torino coppia gay - Gay.it
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La vicenda dei due ragazzi perseguitati per più di un anno nella propria casa, all’interno del “condominio degli orrori” di via Paravia nel quartiere San Donato di Torino ha fatto parlare. Continuano ad emergere dettagli scabrosi, come per esempio il fatto che la coppia avesse dovuto installare un’inferriata e una telecamera davanti alla porta o di come ricevesse puntualmente immondizia nella cassetta delle lettere. Ma ora a parlare sono i protagonisti dall’altro della grata: gli inquilini che avrebbero perpetuato i soprusi per tutti quei mesi, e in particolare il maggior indiziato.

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Mandatemi Barbara D’Urso e una psicologa. Sono distrutto. Ho bisogno di qualcuno che voglia ascoltare la mia voce e di qualcuno che possa prendersi cura di me. Questa storia mi sta mandando al’inferno. Sono alla gogna”. Parla così Raimondo Marietta, classe 1953, ex operaio alle acciaierie delle Ferriere. È lui il principale indiziato denunciato per stalking, è lui che avrebbe urlato “Bisogna bloccarli quei due ricchioni. Bloccarli su per le scale, e massacrarli di botte”. È la sua figlia minorenne che era in prima linea, il giorno dell’aggressione, nella piazza vicino al condominio. Eppure l’uomo continua a professarsi innocente: “A me non interessa la sessualità degli altri. Ognuno la vita se la smena come vuole. Ci sono stati dei problemi, beghe condominiali, litigi per gli spazi comuni. Ma non ho niente contro i gay, non devono fare di me un capro espiatorio”. Ma le svastiche incise sulle pareti dell’ascensore rimangono, come anche gli insulti scritti nello stabile.

Preferisco non parlare, ho paura. La polizia è venuta tante volte, state montando un caso per una piccola questione fra condomini”. Così parla una donna sudamericana che abita al terzo piano del palazzo: parla di tutto ma nemmeno una parola di disappunto o di dispiacere per la vicenda “Non li conoscevo”.

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Sotto il portone di casa intanto si moltiplicano i cartelli “vendesi”: sono ben cinque, dopo lo scandalo tutti vogliono andare via. Magari qualcuno ha veramente capito la lezione e vuole cambiare aria, scappare dal fetido odore della discriminazione e dell’arretratezza culturale. Nel frattempo uno dei due ragazzi è stato aggredito di nuovo, sabato scorso, sotto la sua nuova casa: gli è stato puntato un coltello alla gola e gli è stato detto “Ecco la solidarietà del quartiere”. Di un quartiere che non può sopportare la felicità di due uomini che si amano.

 

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