Venerdì scorso, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha emesso pesanti sanzioni nei confronti dell’Uganda, in particolare verso Johnson Byabashaija, a capo dei servizi carcerari nazionali. Tra queste, il divieto di ingresso nel paese e il divieto di rapporti finanziari con cittadinǝ o aziende statunitensi.
L’accusa, quella di aver istituito un vero e proprio regime del terrore all’interno degli istituti penitenziari Ugandesi, definito “l’inferno in terra” per detenutǝ LGBTQIA+ – che qui rischiano la pena di morte – e dissidenti politicǝ.
Una misura che arriva immediatamente dopo le restrizioni applicate sui visti diplomatici degli ufficiali Ugandesi in ingresso negli Stati Uniti, conseguenza di un’operazione d’indagine sulla situazione dei diritti umani e delle comunità vulnerabili nel paese africano – in procinto di approvare uno dei disegni di legge più omobitransfobici mai ideati.
Secondo quanto riportato nei comunicati governativi, dal suo insediamento come Direttore del Sistema Carcerario Ugandese nel 2005, Byabashaija avrebbe fatto di torture, abusi e violazioni dei diritti umani un protocollo standard all’interno delle prigioni diffuse su tutto il paese, con una ferocia particolare nei confronti delle minoranze già oppresse dal governo.
Alcunǝ prigionierǝ hanno riferito al quotidiano online The East African di essere stati torturati e picchiati durante tutto il loro periodo di detenzione, con un sadismo e una freddezza tali da far sembrare che “la polizia penitenziaria fosse semplicemente istruita così“.
Ma le sorti peggiori sono toccate alla comunità LGBTQIA+ e allǝ dissidenti politicǝ: tra pestaggi, digiuni forzati e condizioni igieniche pietose, in moltǝ venivano trattenutǝ per lunghissimi periodi senza poter avere accesso a consulenze legali.
In un caso risalente solo al 2020, un intero gruppo di persone LGBTQIA+ arrestate in circostanze ancora poco chiare, fu detenuto per mesi, e per mesi non ebbe accesso a nessuna assistenza legale, né da parte di associazioni che si occupano di diritti umani.
Durante la prigionia, un detenuto ha raccontato di aver subito perquisizioni corporali invasive e ustioni causate volontariamente dalla polizia penitenziaria.
Ad oggi, l’equilibrio tra Africa e Occidente non è mai stato più labile. Sul piatto della bilancia, i diritti umani. Di pochi giorni fa, la bufera sull’ U-ACP Agreement, accordo tra l’Unione e il Gruppo degli Stati dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), che l’Africa intende boicottare, accusando l’UE di voler imporre la propria posizione in ambito di diritti sociali e civili.
La questione LGBTQIA+ è un indicatore tanto esplicativo quanto fondamentale in quest’ambito – con le autocrazie africane che accusano i movimenti per i diritti sociali di rientrare in quell’atteggiamento di arroganza occidentale, pronto a sfruttare le minoranze per ergersi sopra i paesi sottosviluppati.
Atteggiamento fulcro di un’escalation di violenza e repressione nei confronti della comunità, che però si estende anche su altri ambiti.
Nel rapporto del Dipartimento del Tesoro, si parla infatti di paesi sull’orlo di guerre civili, con un sindaco della Liberia a capo di organizzazioni paramilitari, di reclutamento di bambini soldato in Congo, e di una popolazione allo stremo che non può fare altro che cedere alle promesse di governi il cui unico obiettivo è il controllo assoluto.
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