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Cristo Queer, uno spazio per le persone LGBTIAQ+ cristiane

Ci vuole fegato per metabolizzare la leggerezza con cui papa Francesco continua a parlare di «gender».

Cristo Queer, uno spazio per le persone LGBTIAQ+ cristiane - Cristo con la croce Michelangelo Buonarroti - Gay.it
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Era la primavera del 1974 quando la rivista FUORI! (acronimo Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) dedicava un numero speciale alla realtà dei credenti omosessuali fuori dal moralismo italiano, come in Olanda, dove esisteva già uno sportello per l’assistenza pastorale agli omosessuali cattolici: «Il pregio degli olandesi è stato quello di confrontarsi sempre più con la realtà e di spostare l’attenzione dal piano della pura morale a quello della pastorale, che è appunto un piano pratico». Cinquant’anni dopo, a capo della chiesa cattolica c’è un papa più attento alla pastorale che alla morale. Appena eletto, Francesco ha fatto suo il principio che «la realtà è superiore alle idee», come ha scritto nell’esortazione manifesto del suo pontificato, la Evangelii gaudium. Eppure, undici anni dopo, ha tradito non solo le aspettative di chi, dopo i papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, attende ancora che si attui il Concilio Vaticano II. Ma continua a rinnegare quella chiesa che, invece, il testimone del concilio voluto da papa Giovanni XXIII lo ha preso negli anni Sessanta, come in Olanda, Germania e America Latina.

Ci vuole fegato per metabolizzare la leggerezza con cui papa Francesco continua a parlare di «gender» e chiede «studi a proposito di questa brutta ideologia del nostro tempo, che cancella le differenze e rende tutto uguale». Faccio il vaticanista da diversi anni, ho visto e letto carte private che provano il supporto del pontefice alla comunità arcobaleno, arrivando persino a usare l’acronimo LGBT: una scelta per nulla scontata in un contesto così arretrato e impreparato in campo antropologico e sociale come quello vaticano, che soppianta l’acronimo LGBT+ con un termine ombrello come «omosessuale», mostrando così poco rispetto per le persone con altre identità, come le persone lesbiche, transgender o intersessuali. Così, in pubblico il papa preferisce non esporsi, anzi trasforma un’intera comunità in un target già tale per molti governi di destra e regimi nel mondo. Se un pontefice, anziché citare gli studi di genere e le ricerche scientifiche, a supporto di una teoria infondata menziona un romanzo di fantascienza come Il padrone del mondo, è complice di una narrazione distorta della realtà tanto quanto un governo che risponde a chi lo contesta interpretando la parte degli Hobbit con tanto di libro fantasy alla mano.

Ma la chiesa cattolica non è solo Roma e il Vaticano, per questo su Gay.it inauguro la rubrica Cristo Queer. Più di qualche persona potrà storcere il naso? È ragionevole, e questo è il primo motivo per farlo. Le persone queer credenti esistono: questa rubrica è uno spazio per chi chi vive sulla pelle il cattolicesimo come un’esperienza frustrante, piena di continui sensi di colpa instillati da una morale morbosa di giudicare cosa accade nella camera da letto. Le persone credenti queer danno fastidio al cattolicesimo di facciata perché la loro la fede coincide con la demolizione delle barriere sul sesso e sui corpi imposte per secoli dalla chiesa di Roma. Per fare un esempio, nel 1992 il governo degli Stati Uniti stava adottando norme per contrastare l’omofobia quando la Santa sede, in un documento segreto indirizzato ai vescovi cattolici statunitensi – poi svelato dal Washington Post – chiedeva di limitare i diritti civili e personali ad alcune categorie di persone in nome del bene comune. Quel bene comune era un’accozzaglia di precetti morali che giustificavano, in nome di Dio, sistemi di oppressione e sfruttamento di categorie marginalizzate.

Cristo Queer, uno spazio per le persone LGBTIAQ+ cristiane - michelangelo pieta - Gay.it
Pietà – Michelangelo Buonarroti

Un cristiano, invece, sa che Cristo rompe queste logiche binarie, e sentirsi come persone straniere in terra straniera significa fare memoria di questa missione. Nessuno qui avrà la pretesa di dare una risposta e non c’è alcuna intenzione di fare un catechismo queer. Gay.it è uno spazio laico ed è sacrosanto che sia aconfessionale. Ma questo non esclude che si prenda atto di una realtà costituita da quelle persone LGBTQIA+ che sono anche credenti. Riconoscere questo spazio significa riconoscere esperienze di vita che meritano di essere raccontate. Era il 1980 quando, in una lettera mandata a La Stampa, un giovane omosessuale fece coming out in risposta a papa Giovanni Paolo II che, poco prima a Chicago, aveva definito il «comportamento omosessuale come moralmente disonesto». Questo giovane ragazzo, Ernesto Gallarato, scrisse: «Mi sono sempre più reso conto che la mia tendenza non è una ‘perversione’ dell’ordine naturale voluto da Dio, ma è inscindibilmente connessa con la mia natura più vera […] quell’insieme di caratteristiche che Dio ha voluto darmi nel momento in cui sono venuto al mondo». Una verità semplice, eppure tanto difficile da accettare da parte della chiesa cattolica ancora oggi, con un pontefice santificato troppo presto sulle istanze arcobaleno. Nel mio lavoro, respiro l’aria di scetticismo che soffia in Vaticano, ma anche fuori, in tante parrocchie nel mondo. Che comunione è quella in cui le persone devono restare in anonimato, come le decine di suore e preti costretti a soffocare una parte fondamentale dalla loro identità? È un paradosso per una chiesa che venera un Dio che ci ha messo la faccia.

 

Occorre pure domandarsi che senso abbia una pastorale Lgbt+ che si propone di alleviare le sofferenze inflitte da quella stessa chiesa che la propone, che non può essere giustificata quando dimentica le vittime di odio omobitransfobico, come dopo la strage di Pulse, in Florida o, più recentemente, il linciaggio di Nex Benedict, sedicenne non binariə. Scoraggiare le persone è l’opposto di mobilitarle. Parlare di un Cristo che, incarnandosi, si è fatto queer, non è una moda new age o una trovata blasfema: significa smascherare l’approccio ipocrita dell’autorità che parla di accoglienza, ma patologizza chi è diverso o, ancora peggio, lo tollera entro certi confini stabiliti sempre dal potere. Pier Paolo Pasolini la chiamava erotomania sociale, cioè la «libertà comune non voluta dal basso, ma concessa dall’alto». Restare nonostante tutto, quindi, non significa farsi una religione a propria immagine e somiglianza né dare una nuova vernice di modernità, no. Per i cattolici che hanno rifiutato ogni compromesso sociale sul loro orientamento sessuale, stare nella chiesa cattolica significa separare il grano dal loglio, cioè quel potere che pretende di dare la patente della fede nei due modi che gli sono più congeniali: imbastendo crociate o addomesticando la coscienza.

D’altra parte, è quanto mai necessario ricordare l’impegno di quella chiesa che non accetta il compromesso, le religiose e i preti che hanno fatto proprie le istanze della comunità LGBTQIA+, le teologhe e i teologi che, dagli anni Sessanta a oggi, continuano a parlare di Cristo Queer, anche se a Roma questo non piace. Fare doppio coming out, essere credenti e queer, è l’occasione per problematizzare una oppressione. La comunità queer prenda coscienza, non solo del dovere di non emarginare i credenti, ma anche dell’importanza di questa lotta per la fede e la liberazione di tutte le persone ancora tenute ai margini.

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