Sinodo, la Chiesa Cattolica glissa ancora una volta la questione LGBTQIA+

Vaghi e sporadici i riferimenti alla comunità nella relazione di sintesi. Luxuria ottimista: "È iniziato un cammino. Prima di papa Francesco nessuno ne parlava".

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Il recente Sinodo, conclusosi nella solennità di una messa a San Pietro il 29 ottobre, ha rappresentato un momento di intensa riflessione e dialogo per la Chiesa Cattolica, ponendosi come tappa di un viaggio che vedrà il suo epilogo nell’ottobre del 2024.

Un percorso avviato nel 2021, che ha offerto l’opportunità ai partecipanti di esaminare una varietà di questioni riguardanti la vita della comunità ecclesiale e di riflettere sulle strade da intraprendere per il futuro.

Tra queste questioni, la grande assente è quella LGBTQIA+: nonostante le iniziali aperture in merito e la conclusione favorevole del precedente Sinodo nel 2018, i passaggi che ne trattano sono sporadici e poco efficaci.

Questa eccessiva prudenza solleva interrogativi: vi è dietro una deliberata intenzione di evitare uno degli argomenti più controversi e sentiti del momento?

Intanto, la comunità cattolica LGBTQIA+ è costretta a registrare un’ulteriore delusione, percependo un’occasione mancata per un dialogo autentico e un riconoscimento significativo.

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Sinodo, neutralità sulle questioni “calde”

Durante l’ultima settimana, i riflettori si sono concentrati sulla Relazione di Sintesi, il cui scopo era di catturare l’essenza delle discussioni tenutesi nel corso del mese.

L’approccio adottato ha incoraggiato i partecipanti a resistere alla tentazione di polarizzare il dibattito, rimanendo aperti, e non schierarsi a priori su questioni controverse.

Nonostante queste premesse, vi è un palpabile senso di sconcerto all’interno della comunità cattolica LGBTQIA+, che osserva con una certa amarezza la mancata menzione esplicita delle proprie esperienze e sfide all’interno dei documenti sinodali.

Per i cattolici LGBTQIA+, il Sinodo rappresentava una preziosa opportunità per far sentire la propria voce, per condividere le proprie peculiarità di fede e per ricercare un riconoscimento più concreto all’interno della Chiesa.

L’assenza di un riferimento diretto alle questioni LGBTQIA+ non fa che accrescere la percezione di essere esclusi da un dialogo che, per sua natura e per l’enfasi data al discernimento e all’ascolto, avrebbe dovuto includere tutte le voci della comunità ecclesiale.

Inclusione a “maglie larghe”

La problematica si radica già nella fase preparatoria, nell’Instrumentum laboris, documento guida di questa fase sinodale, che sollevava esplicitamente il tema dell’inclusione.

La sezione B1 di tale documento poneva una domanda cruciale: quali passi concreti possono essere intrapresi per avvicinare alla Chiesa quelle persone che si percepiscono escluse a causa della loro affettività e sessualità?

La domanda comprendeva però non solo le persone LGBTQI+, ma anche altri gruppi come i divorziati risposati e coloro in matrimoni poligamici. E la risposta arriva ancora più vaga:

Alcune questioni, come quelle relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale, al fine vita, alle situazioni matrimoniali difficili, alle problematiche etiche connesse all’intelligenza artificiale, risultano controverse non solo nella società, ma anche nella Chiesa, perché pongono domande nuove. Talora le categorie antropologiche che abbiamo elaborato non sono sufficienti a cogliere la complessità degli elementi che emergono dall’esperienza o dal sapere delle scienze e richiedono affinamento e ulteriore studio. È importante prendere il tempo necessario per questa riflessione e investirvi le energie migliori, senza cedere a giudizi semplificatori che feriscono le persone e il Corpo della Chiesa”.

Una volontà tangibile di includere questioni cruciali senza però mai citare direttamente il nodo più caldo, che si evince anche dalle risposte altrettanto vaghe date alla stampa su benedizione delle coppie queer, l’ordinazione delle donne, la possibilità di coniugare l’ordine sacerdotale maschile al matrimonio, tra gli altri.

Il che lascia trasparire una dissonanza tra le questioni poste all’attenzione e quelle effettivamente trattate.

Va poi considerata la voce delle numerose persone queer credenti che desiderano essere riconosciute e che hanno espresso, più volte e con insistenza, la volontà di essere viste e ascoltate dalla Chiesa, la loro Chiesa.

Il loro bisogno di inclusione e di accettazione non è soltanto una richiesta di attenzione individuale, ma una questione di giustizia e di riconoscimento dell’universalità del messaggio cristiano.

La reazione delle associazioni queer cattoliche

New Ways Ministry, associazione queer cristiana, ha rilasciato un comunicato in cui esprime una profonda delusione per il mancato indirizzo delle questioni LGBTQ+ nel rapporto sinodale:

“Affermare che le questioni LGBTQ+ sono controverse nella Chiesa non solleva nuove domande, come suggerisce il rapporto, poiché questo fatto era noto ben prima ancora dell’inizio del Sinodo. I leader della Chiesa hanno avuto decenni per conoscere gli sviluppi scientifici e teologici sul genere e sulla sessualità. Allo stesso modo, è noto che le persone escluse dalla Chiesa a causa della loro identità o sessualità cerchino di essere ascoltate. Le domande che il rapporto sostiene ora non sono, infatti, nuove”.

La mancata menzione nel documento finale getta ombre sul futuro dibattito sinodale. La domanda che si pone è retorica e pregnante: se una questione tanto importante non trova spazio ora, quali aspettative si possono avere per il futuro?

In questo contesto, il rapporto sinodale viene percepito come un passo indietro, un mancato ascolto che va oltre la delusione, incidendo sul senso di appartenenza e sulla ricerca di un dialogo autentico tra la Chiesa e i suoi fedeli LGBTQIA+.

Il rischio è quello di perpetuare una separazione tra la Chiesa e una parte dei suoi fedeli, che va contro l’essenza stessa di una comunità che dovrebbe essere inclusiva e aperta al dialogo in ogni sua forma.

Un vago, piccolo riferimento alla comunità LGBTQIA+

La riflessione sinodale ha lasciato tuttavia intravedere un barlume di autoanalisi all’interno della Chiesa Cattolica, accennando alla necessità di un aggiornamento nelle categorie antropologiche cattoliche.

Si riconosce, in una timida e isolata affermazione, che le comprensioni attuali potrebbero non essere all’altezza delle scoperte emergenti dall’esperienza umana e dalle conoscenze scientifiche.

Tuttavia, questa ammissione rimane avvolta in una nebulosa di incertezze, non fornendo terreno solido su cui costruire aspettative di un reale cambiamento. In questo senso, tuttavia, l’attivista Vladimir Luxuria si dimostra ottimista:

È positivo, però, che si cominci a discutere di questi temi anche in Vaticano, in occasioni importanti come il Sinodo dei vescovi. A volte si fanno progressi, poi si fanno passi indietro. Il Papa ha detto qualcosa di rivoluzionario, affermando che anche le persone trans sono figli di Dio, utilizzando il linguaggio femminile e riconoscendo la nostra identità di genere”.

Anche la Women’s Ordination Conference, associazione cattolica femminista, ha però evidenziato con forza l’insufficienza di questo riconoscimento nel suo comunicato stampa, sottolineando che affinché il processo sinodale sia credibile, è essenziale che si affrontino con determinazione la piena uguaglianza delle donne e delle persone LGBTQ+ in tutti gli aspetti della vita ecclesiale.

L’associazione critica una “chiesa in ascolto” che tuttavia si mostra incapace di una vera trasformazione, una stasi che non soltanto va contro il principio di uguaglianza, ma che, secondo l’associazione, fallisce proprio nel riflettere il Vangelo stesso, che è intrinsecamente un messaggio di inclusione e amore universale.

Il rischio è che senza un reale progresso nella comprensione e nell’accettazione, la Chiesa possa allontanarsi sempre di più da quei fedeli che, nonostante tutto, cercano di conciliare la loro fede con la loro identità in una comunità che però, ancora oggi, li tratta da esclusi – come aveva raccondato il padre Gesuita James Martin.

Ma, il cammino verso una conciliazione tra la visione di una Chiesa inclusiva e quella di orientamento più tradizionale è un percorso complesso e pieno di ostacoli. Come conclude Luxuria:

È iniziato un cammino. Prima di papa Francesco nessuno ne parlava; è molto importante che ora se ne parli a nome di tante persone che hanno lottato con la loro fede, sentendosi escluse e inciampando nel buio, come ho fatto io nella mia vita quando un prete mi ha detto che la mia identità di genere era qualcosa di satanico. È stato allora che ho preso le distanze dalla Chiesa“.

È importante sottolineare però che se la presa di posizione di Bergoglio ha, senza dubbio, segnato una divergenza rispetto a precedenti pontificati, questa apparente apertura è intrinseca di una dialettica che non si discosta dalla dottrina tradizionale, la quale interpreta ancora l’omosessualità e la trasgressione dei ruoli di genere come contrarie ai dettami religiosi.

Sebbene il pontefice abbia infatti invitato alla compassione e alla comprensione, non si è infatti discostato dalla visione che le espressioni di genere non tradizionali e le relazioni omosessuali siano in qualche modo peccaminose.

Il che pone la comunità LGBTQIA+ in uno spazio ambivalente, in cui il benvenuto è condizionato da un invito implicito al pentimento.

Foto di copertina da IG @vaticannewsit 

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