Foto in evidenza: Copyright: David Poller 2013 LaPresse
Sessualità e disabilità sembrano due termini che non possono partecipare allo stesso dibattito. Se succede, ci si muove su due poli estremi dove la sessualità è completamente assente (come se le persone disabili non avessero desideri o impulsi sessuali) o talmente eccessiva e impulsiva da non contenersi.
Ma quando a prendere parola sono le persone interne alla comunità, il dibattito si evolve e potremmo accorgerci che buona parte delle nostre credenze sono cliché a senso unico.
Sono quei pregiudizi che, come spiega il dr. Lelio Bizzarri, psicologo, psicoterapeuta, professional counselor a Roma, non solo confinano le persone disabili in un eterno stato d’infantilizzazione, ma limita anche l’accesso o la possibilità di avere un’educazione sessuale:
“Viene visto come uno stimolo ad andare verso comportamenti ipersessualizzati oppure informazioni inutili per persone che tanto non potranno mai avere una propria vita sessuale“.
Quali step per sfatare questi retaggi e muoverci verso una lotta che sia davvero inclusiva? Superare quelle barriere e conoscere davvero le persone coinvolte. Permettendoci non solo di approfondire il loro vissuto, passando il microfono e lasciando il controllo della narrazione a chi lo vive sulla propria pelle, con tutte le varianti e contraddizioni del caso.
“Può aiutare cercare di non eccedere con i comportamenti protettivi e sentirsi troppo responsabilizzati” spiega Bizzarri “A volte capita che le persone – coetanei e pari – abbiano difficoltà a socializzare perché trasferiscono questo atteggiamento iper-protettivo, confondendolo (come anche nei rapporti di coppia) con un rapporto di cura e caregiver”.
Tra Pride sempre non abbastanza accessibili e poche voci in dibattito, la conversazione riguarda anche la comunità LGBTQIA+: ospite il 12 Maggio presso l’Happy Hour online delle Mammematte, lo psicoterapeuta nota che la nostra cultura ancora fatica a immaginare che l’omosessualità vada di pari passo con la disabilità, come se le persone disabili non possano sviluppare un orientamento sessuale proprio. La conseguenza è una de-umanizzazione che non permette a tutte le soggettività coinvolte il privilegio dell’individualità, e con essa la possibilità di autodeterminazione.
“A volte purtroppo, soprattutto per la disabilità cognitiva, si pensa che i comportamenti omosessuali siano legati alla mancanza di educazione sessuale o vengono di nuovo patologizzati” continua lo psicoterapeuta: “In realtà, sappiamo che sono due realtà che si muovono indipendentemente l’una dall’altra e vanno in qualche modo integrate nell’identità della persona“.
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