50 anni tra poco più di un mese, Filippo Timi, due volte candidato ai David e nel 2022 Nastro d’Argento come miglior attore in una commedia con Il filo Invisibile, è tornato in tv grazie all’undicesima stagione di I delitti del BarLume, serie Sky in cui da 11 anni interpreta Massimo Viviani, barista chiamato a risolvere un caso in ogni puntata. Una sorta di Jessica Fletcher toscana per Filippo, intervistato dal Corriere della Sera tra carriera e privato.
Timi, che ha il morbo di Stargardt che gli fa vedere solo i contorni e la balbuzie, non ha mai nascosto la propria bisessualità, sposando l’artista e scrittore Sebastiano Mauri a New York nel 2016, per poi girarci assieme Favola e successivamente divorziare.
Essere un adolescente queer a Perugia, per Filippo, non è stato semplice.
“Io a 21 anni lasciai la provincia. Il mondo gay è importante per dare la possibilità di una scelta, creare la libertà. L’omosessualità resta un tabù. È una parola che fagocita il resto, per quel sessuale che trascina tutto verso la camera da letto. Io ho voglia di tenerla chiusa, anche quella della mi’ mamma. Prima, non si vedevano due uomini baciarsi, si raccontava ciò che poteva esserci ma solo di nascosto. Già identificarsi con qualcosa che doveva essere segreto mi spaventava. Quando mi chiamavano fr…era strano, era una parola che mi veniva sputata addosso con una colpa e un’accusa. Mi ha dato forza identitaria, anche se è stato difficile e doloroso”.
Anche in casa, per Timi, è stato complicato. “Non mi sono sentito protetto dai miei genitori, che sono stupendi. Non si sentivano in diritto di potermi difendere. Non ce l’hanno fatta. A tavola c’era un silenzio di noi tre sull’argomento. Erano omofobi e razzisti, senza farlo apposta. Mio padre faceva la battutina su Renato Zero, poi aggiungeva comunque è bravo. In quel “comunque” c’è tanto. Sai quando ti regalano il giocattolo ma senza le pile? Io non avevo le pile”.
Poi è arrivata la recitazione. Il teatro nei primi anni ’90, il cinema e la tv nei primi anni ‘2000. Il successo, al cospetto di simile talento, è stato inevitabile e consequenziale.
“È più semplice, non so spiegarlo. Non è cambiato nulla interiormente. Succede lo stesso in famiglie di Milano con possibilità massime, conosco persone che hanno dovuto abbandonare la propria casa.. Coltivo l’idea di superare il confine. L’ho fatto io e l’ha fatto anche mia madre, nata in campagna in un posto che non ha nemmeno un nome, diventare infermiera è l’Everest che ha scalato. Certi sguardi derisori addosso li ho sentiti anche pochi giorni fa in una macelleria. Inconsciamente, non hai voglia di vederli certi sorrisetti. Mi capita da quando, ragazzino, facevo pattinaggio artistico. Mia cugina ha la scatola cranica sigillata: mi ha fatto avere meno paura del diverso”, ha precisato Filippo, che a breve sarà ancora una volta su Sky con una delle serie più attese del 2024. Dostoevskij dei Fratelli d’Innocenzo, attesa alla Berlinale.
“Sono stati sei mesi di un balletto di emozioni. Io sono un brillante detective dal passato doloroso che indaga su un omicida seriale soprannominato Dostoevskij per le lettere piene di dettagli macabri che lascia sulle scene del crimine. E’ diretta dai fratelli D’innocenzo, l’hanno scritta con grande invenzione poetica, c’è una didascalia che dice: in cielo un temporale feroce come un litigio tra fratelli. Una frase di una forza straordinaria”.
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