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Intervista a Loreen Willenberg, la donna sieropositiva asintomatica da 24 anni

Nessuno la conosce ma questa donna potrebbe essere la chiave per la cura all'AIDS: è una delle persone sieropositive più studiate dagli scienziati. Ecco perché.

4 min. di lettura
Poche persone hanno dato così tanto per la ricerca come Loreen Willemberg, un nome sconosciuto ai più. Loreen rappresenta quella piccola minoranza all’interno della comunità mondiale dei sieropositivi denominata “élite controller”: Loreen infatti è sieropositiva ma completamente asintomatica. Oltre a essere una cavia per innumerevoli test ed esperimenti scientifici, è anche la fondatrice della Fondazione Zefiro, una organizzazione no profit che ha il compito di trovare e mettere in contatto tra loro le persone come lei, col fine non solo di aiutarle ma di fornire soggetti così rari alla ricerca scientifica.

In questa intervista per hivplusmag.com, Loreen ci parla dello stigma di essere sieropositiva, di essere invisibile, di tornare a studiare dopo 40 anni per capire meglio la sua condizione e della possibilità di una cura.

Com’è vivere senza sintomi dell’HIV?

Sono 24 anni che il mio sistema immunitario tiene sotto scacco l’infezione senza alcun farmaco antiretrovirale. Questo non significa che durerà per sempre. Mi prendo molto cura di me stessa, riposo, mangio sano, faccio sport e vado dal dottore… beh da molti (ride). Ma soprattutto cerco di mantenere un atteggiamento positivo.

Anche lei soffre dello stigma da HIV?

Sono senza parole per il fatto che ancora oggi, con tutto quello che sappiamo, lo stigma sia il problema principale per tante persone che vivono con l’HIV e penso che solo l’educazione possa combatterlo. Essere stata aperta e sincera come persona con HIV mi ha costretto a discussioni, persino litigi memorabili che hanno portato a una migliore comprensione per tutte le persone che ho incontrato.

Provi una specie di invisibilità come persona con HIV?

Negli anni antecedenti alla diagnosi mio status di élite controller, avvenuta nel 2004 da parte dell’International HIV Controller Study di Boston, ero davvero invisibile in quanto donna sieropositiva. Per esempio nel 92, l’anno della mia diagnosi e fino ai primi anni 2000 non esistevano nemmeno gruppi di supporto per donne se non a New York, Los Angeles o San Francisco. Per non parlare dei media che parlavano solo di epidemia gay maschile con l’esclusione di tutti gli altri, donne in particolare, nonostante a livello mondiale siano le donne le principali vittime dell’infezione. Addirittura, le donne non erano neanche inserite negli studi clinici su HIV o sui farmaci anti HIV in quel periodo.Trovo interessante che dei 4.700 individui identificati come long term non progressor sin dal 2005, e che partecipano in trial clinici per capire il meccanismo di infezione dell’HIV, solo il 9% di essi (cioè 42 persone) hanno dichiarato apertamente il loro status. Di queste solo 5 sono donne. Credo che questi numeri parlino da soli della generale invisibilità sia di noi élite controllers sia in generale del fatto che le donne siano invisibili tra gli invisibili all’interno della comunità dei sieropositivi.

Come ti ha cambiato la vita l’HIV?

Ero una persona forte prima di sapere della mia sieropositività, oggi lo sono ancora di più. Vivere con l’HIV ti insegna come sopravvivere, come essere tenace di fronte agli ostacoli e alle avversità. Ma vivere con l’HIV mi ha permesso di conoscere persone straordinarie, fuori e dentro la comunità, che mai avrei conosciuto altrimenti. E’ stato un privilegio lavorare con così tanti attivisti, che con coraggio e generosità si dedicano a combattere le battaglie per conto di chi è sieropositivo o ha l’AIDS. Sono così grata per quello che mi hanno insegnato negli anni! E un grazie alle migliaia di scienziati incontrati che lavorano senza sosta per capire la meraviglia del nostro sistema immunitario, migliorando ogni giorno la qualità di vita di coloro che vivono con l’HIV. Credo che la più importante conseguenza dell’HIV sulla mia vita sia stata la decisione di tornare a studiare dopo 40 anni all’università. Dopo molti anni come rappresentante della comunità HIV e come partecipe di molti studi clinici, mi sono chiesta come potessi essere di maggiore aiuto agli altri. È nato da un episodio casuale ma importante il mio interesse nella bioetica, e questo mi ha portato a tornare a studiare per poter avere una mia voce sulla materia. Ho già completato 5 anni di studi e ora mi trasferirò all’Università di California per completare il percorso di studi.

Congratulazioni! A quanti studi clinici ha partecipato?

Ho partecipato a più di una dozzina di studi clinici, compreso l’International HIV Controllers Study di Harvard sin dal 2004.

Perché vi partecipa?

Vi partecipo perché ho a cuore la comunità HIV e la mia in particolare, quella dei resistenti al virus, e le scoperte che si fanno su persone come noi permettono importanti scoperte su come opera l’HIV. Ho la speranza che l‘efficienza del nostro sistema immunitario sia presto trasferita sugli altri con un vaccino terapeutico o con nuovi approcci per curare il virus.

Cosa ha imparato finora?

Be’, dal 92 ho imparato una infinità di cose, ma ora so che la ricerca è sempre più vicina a capire i processi interni che tengono sotto scacco l’HIV. Questi processi sono complessi e sono moltissimi. in breve:

– I long term non progressor sono studiati in 21 Stati al mondo;

– Le stime indicano che ci sono 4 persone su 10.000 infettati che non sviluppano la malattia;

– Ci sono due diversi gruppi di élite controllers, di cui uno non distinguibile da persone HIV negative in quanto senza infiammazioni, attivazioni immunitarie o distruzione di cellule;

– I meccanismi di controllo variano all’interno di ogni persona;

– La genetica personale ha un ruolo nel controllo naturale dell’HIV;

– Una grande fetta di quelli come noi ha cellule cd8+T incredibilmente efficienti: i linfociti T citotossici sono capaci di distruggere le cellule CD4 infettate dall’HIV (e solo queste);

– Una piccola percentuale di noi alla fine progredisce verso l’AIDS;

– L’evidenza empirica sembra suggerire che noi non trasmettiamo l’infezione.

Alcune persone hanno suggerito che lei e i suoi simili siate la chiave per una cura. Sente la responsabilità per questo “titolo”?

Sono molto onorata del fatto che una cura possa nascere dalla comprensione del mio sistema immunitario. La mia comunità ha già contribuito molto per lo sviluppo di decine se non centinaia di vaccini negli anni e di nuovi approcci per curare l’infezione. Quello che per me è importante è che persone come me possano creare alternative alle cure attuali basate su medicine giornaliere che sono pesanti sia fisicamente che psicologicamente. Spero che presto ci siano cure che non siano più a cadenza giornaliera. Non sento una responsabilità, ma un privilegio e un onore. Se le mie donazioni ai trials clinici produrranno risultati che riducono la sofferenza e migliorano la qualità della vita per gli altri, i miei sacrifici saranno stati pienamente ricompensati.

LEGGI ANCHE: AIDS, parte una delle più grandi sperimentazioni della storia per trovare un vaccino contro il virus > >

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