Le leggende del rock lgbt – #1 – Janis Joplin

L’icona massima del rock blues americano era bisex: Peggy Caserta fu un suo grande amore.

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Gay.it inizia oggi un viaggio musicale alla scoperta delle icone del rock dall’orientamento omosessuale e bisessuale, un lato poco esplorato ma costitutivo di una cultura LGBT. Questa serie di contenuti è offerta dal nostro partner Antony Morato , che nella collezione fall winter 2015 racconta un uomo capace di innovare lo stile italiano e di viverlo con spirito cosmopolita e metropolitano, per sua natura viaggiatore, curioso e con un mood raffinatamente rock.

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Un grande appetito”. Così Sam Andrew, chitarrista dei Big Brother and The Holding Company, deceduto a febbraio di quest’anno, riassumeva l’approccio all’esistenza di Janis Joplin (1943-1970). “Janis aveva un grande appetito per tutto: vivere, divertirsi, qualsiasi cosa – sostiene Andrew -. Se si trattava di cibo, voleva di più e il meglio. Se era divertirsi, anche. Aveva anche un grande appetito per le droghe e aveva soldi e possibilità per averle. Se solo avesse avuto meno appetito, sarebbe andata meglio. A volte non faceva attenzione”. Un appetito vorace, appassionato, assoluto che gridava al mondo, con la sua voce ruvida e possente che l’ha consegnata alla Storia come una leggenda massima del rock blues internazionale.

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Quattro soli album ma fondamentali, prima con i Big Brother and The Holding Company – l’esordio porta proprio il nome della band, seguito da un must della psichedelia seminale come Cheap Thrills – e poi altrettanti da solista, Got Dem Ol’ Kozmic Blues Again Mama! del 1969 e il postumo Pearl pubblicato tre mesi dopo la morte, nel gennaio ’71. Ma i suoi pezzi davvero immortali furono in particolare due cover, splendide, di Summertime e Piece of My Heart. Ma Janis Joplin è inscindibile dal movimento hippy di cui, nel tempo, è diventata icona suprema: impossibile dimenticare le sue apparizioni al Festival di Monterey (quello in cui Jimi Hendrix diede fuoco alla sua chitarra, doppiamente legato a Janis: sarebbe morto sedici giorni prima di lei) e a Woodstock, con la nuova formazione Kozmic Blues, per altro con esiti discutibili: la sua biografa Myra Friedman scrive in Buried alive in the blues: “Al festival Janis fu mediocre e i suoi accompagnatori pessimi”. La Joplin visse l’effervescenza dei figli dei fiori dall’interno, andando ad abitare nella roccaforte del fenomeno, il coloratissimo quartiere di San Francisco Haight-Ashbury.

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Era apertamente bisessuale, ma dei suoi amori lesbici non si sa in realtà molto. Lei amava definirsi pubblicamente semplicemente come ‘sessuale’ (dichiarò anche di “essersi scopata chiunque”). Nel riuscito documentario Janis di Amy Berg, la sorella Laura parla di “lati della sua sessualità non chiari” mentre un’amante di colore spiega che “Janis andava con le ragazze non per scandalizzare ma perché si sentiva così in quel momento”. La voce che legge le lettere di Janis ai genitori, non a caso, è di Gianna Nannini, anche lei bisex e superfan della Joplin. Il grande amore femminile della Joplin fu sicuramente Peggy Caserta, una delle sue relazioni più stabili, tra alti e bassi, abbandoni e reunion, ma cementata dal consumo massiccio di droga, garantito proprio da Peggy, diventata la sua pusher di riferimento (“Ci facevamo di eroina per divertimento”, dichiara la Caserta nel doc). Sfiorarono insieme l’overdose più volte. Nei giorni antecedenti la morte di Janis al Landmark Hotel di Hollywood – strategico rifugio per musicisti a due passi dai migliori spacciatori della città – si erano sentite ma, ricorda Peggy, “lei non aveva voluto incontrarmi. Sei pulita? Mi chiedeva, perché se non è così, non voglio vederti. Io sono fuori da quella merda. E non ci voglio più rientrare!”. La morte di Jimi Hendrix la colpì moltissimo e Janis si confidava così con gli amici: “Mi chiedo che cosa diranno di me quando sarò morta”. Peggy cercava di rassicurarla: “Tranquilla, due rockstar non possono morire lo stesso anno”.

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In una rara intervista del 2009, allo show televisivo BIO, Peggy dichiarava: “Ci siamo divertite molto. Abbiamo fatto molto l’amore. Non era un rapporto che la gente di oggi potrebbe pensare come ‘relazione lesbica’. Non lo era affatto. Eravamo compatibili, giovani, selvagge e interessate l’una all’altra”. Ma il lato oscuro della Joplin era rappresentato da un profondo senso di solitudine e dal complesso di essere brutta, come emerge chiaramente dal doc Janis: tutto nasce durante la difficile adolescenza a Port Arthur dove viene discriminata e derisa dai coetanei. Quando si trasferisce all’Università del Texas, senza mai terminare gli studi, vince addirittura un umiliante concorso come ‘uomo più brutto del campus’. Ma Janis vuole soprattutto essere amata, e in parte riesce a sopperire a questa carenza affettiva grazie al suo pubblico accalorato. Da qui la frenesia quasi predatoria per non andare a dormire da sola (“Janis era facilmente adescabile dagli uomini” diceva spesso Peggy). Una sera spaccò una bottiglia di Southern Comfort in testa a Jim Morrison che l’aveva umiliata pubblicamente.

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Nella dettagliata biografia Scars of Sweet Paradise: The Life and Times of Janis Joplin di Alice Echols, l’attore Milan Melvin sostiene che la sessualità di Janis fosse genuinamente liberata e al di là di ogni definizione. Racconta anche un aneddoto curioso: durante una serata di sballo, Melvin arrivò a sbirciare da dietro una porta una sorta di orgia lesbica a cui partecipava Janis, la quale, non appena vide l’attore gli gridò provocatoriamente: “È questa la mia vita adesso!”. Una chiara considerazione sulla sessualità della Joplin è sintetizzata dalla stessa Echols: “In contrasto con altri suoi biografi, non voglio ‘patologizzare’ o ‘normalizzare’ la Joplin, né trasformarla in una vera lesbica. Piuttosto trattare la sua vita come lezione esemplare sugli eccessi di quei tempi”.

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