LGBTQIA+ e disturbi alimentari: il 38% soffre o crede di soffrirne

La correlazione tra disturbi alimentari e comunità LGBTQIA+ rivelata da uno studio. I dati e le relative conclusioni sono preoccupanti.

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Quella dei disturbi alimentari è una piaga umana che affligge in maniera pregnante anche la comunità LGBTQ+.

Esiste negli Stati Uniti un’organizzazione non a scopo di lucro – denominata Trevor Project – che si impegna da oltre 20 a supportare giovani e adolescenti appartenenti alla comunità LGBTQ+ in situazioni di grave disagio.

Negli ultimi anni, Trevor Project ha riscontrato un incremento preoccupante di casi di disturbi alimentari nei giovani che si occupava di seguire, tanto da avviare una ricerca su larga scala per capire se ci fosse una correlazione tra comunità LGBTQ+ e DCA. In effetti, c’è.

Lo studio ha infatti rivelato che i giovani appartenenti alla comunità LGBTQ+ hanno molte più probabilità di sviluppare un disturbo alimentare, e che questo fattore impatta grandemente sulla loro sanità mentale.

Il 38% dei giovani appartenenti alla comunità LGBTQ+ soffrono o credono di soffrire di disturbi alimentari

La vice president di Trevor Project – dottoressa Amy Green – ha evidenziato che nella maggior parte dei casi le ricerche su questo particolare topic vengono svolte su campioni poco variegati, andando di solito a indagare su donne bianche e cisgender. Il che porta a dei risultati “a metà”.

La ricerca di Trevor Project ha invece esteso la propria platea a 34.759 persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ in generale. La domanda principale:Sei mai stat* diagnosticat* con un disordine alimentare?”.

I risultati hanno evidenziato che il 9% degli intervistati in età dai 13 ai 24 anni hanno dichiarato di avere un disordine alimentare diagnosticato, mentre il 29% non dispone di una diagnosi ma sospetta di soffrirne ugualmente. Uomini transgender e persone non binarie con genere femminile assegnato alla nascita sono i più colpiti.

Ma il dato più preoccupante è che le persone intervistate, che hanno dichiarato di avere una diagnosi o comunque credono di soffrire di un disturbo alimentare, presentano anche frequenti ideazioni suicidarie.

Tra minority stress e il desiderio di rientrare nei canoni di bellezza convenzionali: le cause dei disturbi alimentari nella comunità LGBTQ+

Non c’è una sola motivazione per la quale le ideazioni suicidarie sono in stretta correlazione con i disordini alimentari. Le esperienze sono così diverse e variegate che è impossibile trovare una chiave di volta. Tuttavia, un fattore accomuna ciascuna di esse: il fatto di appartenere a una minoranza spesso ancora oppressa.

Il cosiddetto minority stress ha mostrato di avere una correlazione stretta sia con i disordini alimentari che con le ideazioni suicidarie. La costante vittimizzazione delle persone appartenenti alla comunità LGBTQ+ – bullismo, discriminazione, stigma interiorizzato – dà luogo a diverse patologie come la depressione, l’ansia e in molti casi i disturbi alimentari.

La gioventù LGBTQ+ si trova spesso vittima di maltrattamenti a livello sistematico, che generano anche uno stigma interiorizzato e spesso non immediatamente riscontrabile. La conseguenza è il provare vergogna verso sé stessi e verso il proprio corpo.

Per le persone transgender e non binarie questo sentimento è ancora più amplificato dalla disforia e dismorfia verso il proprio corpo, e gli sforzi per allinearsi con i canoni del genere desiderato risulta spesso in diete estreme. Questo proviene spesso da un’immagine sbagliata fornita da amici, familiari e media, che influenzano il pensiero di un corpo standardizzato, che per essere “valido” deve rientrare in determinati canoni.

L’esposizione costante a immagini di corpi perfetti potrebbe amplifica ancora di più il desiderio di rientrare nella “normalità”, il che risulta spesso in comportamenti irresponsabili che però non possono essere frenati.

Ma un’altra ragione, ancora più desolante, è che la gioventù LGBTQ+ utilizzi il disturbo alimentare – quindi l’astenersi dal mangiare, o al contrario, mangiare troppo – come forma di autolesionismo e come metodo di suicidio lento e doloroso.

Serve una mentalità più inclusiva per contrastare il fenomeno dei disturbi alimentari nella comunità LGBTQ+

Risulta quindi importantissimo accorgersi per tempo dei segnali, anche meno evidenti, di un disturbo alimentare. Voltare la testa dall’altra parte va solo a ritardare l’inevitabile.Se noti che un amico, un familiare o un conoscente dimostra preoccupazioni ossessive con il proprio aspetto fisico, il proprio peso e con l’esercizio fisico, cerca di affrontare il discorso con delicatezza ma con decisione.

È già molto difficile per una persona appartenente alla comunità LGBTQ+ chiedere aiuto apertamente, a causa delle possibili discriminazioni e la paura di non essere capita dai professionisti sanitari. Avere un sistema di supporto solido è fondamentale.

E proprio per quanto riguarda i professionisti sanitari, è necessario un cambio di mentalità a livello sistemico per creare un ambiente più accogliente e inclusivo per le minoranze, per evitare che i giovani a esse appartenenti vengano scoraggiati dal chiedere aiuto.

Di seguito, alcune risorse a cui puoi rivolgerti nel caso in cui pensi che tu stesso, o una persona a te cara, soffra di un disordine alimentare:

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