“Lo capisce anche un bambino”, Mattia Zecca e la sua famiglia arcobaleno intrisa di felicità – l’intervista

È la storia vera di una famiglia come le altre: una famiglia felice che, convinta di essere trasparente, una tra le tante, scopre invece di essere invisibile agli occhi della legge italiana. La nostra intervista al suo autore.

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"Lo capisce anche un bambino", Mattia Zecca e la sua famiglia arcobaleno intrisa di felicità - l'intervista - Lo capisce anche un bambino Foto copertina - Gay.it

È uscito in libreria con Feltrinelli editore “Lo capisce anche un bambino“, esordio alla scrittura di Mattia Zecca, avvocato classe 1984, nato a Lecce ma residente a Roma, dove ha costruito la sua splendida famiglia arcobaleno.

Un figlio è sempre una scoperta che muta la geografia del tuo mondo.” E il mondo che questo libro invita a esplorare è quello raccontato dalla voce di un padre, ma osservato con gli occhi di Lorenzo e Martino, due bimbi che condividono la stessa cameretta, la stessa storia di amore, determinazione e cura e, soprattutto, gli stessi genitori: papà Mattia e papà Nicola. È la storia vera, insomma, di una famiglia come le altre: una famiglia felice che, convinta di essere trasparente, una tra le tante, scopre invece di essere invisibile. Perché se l’amore ignora sempre le leggi della fisica e della biologia, la legge talvolta ignora l’amore. A Lorenzo e Martino, infatti, che di genitori ne hanno due, l’ordinamento italiano ne riconosce solo uno per ciascuno. L’altro, per le istituzioni, non è che un mero convivente. Lorenzo e Martino, per la legge italiana, non sono fratelli.

“Per il nostro Paese noi siamo quattro simpatici coinquilini che si vogliono tanto bene e che, se trovassero un buon portiere, potrebbero formare un’ottima squadra di calcetto a cinque. Se solo papà Mattia e papà Nicola sapessero giocare a pallone. È questo, il problema.”

Mattia Zecca ha raccontato una storia personale ma anche collettiva, gettando luce sull’unico senso intimo e universale del desiderio di costruire una famiglia: “Essere genitori è prima di tutto un’occasione: quella di essere i bambini che non siamo mai stati, o che non siamo stati abbastanza, o che non siamo stati come avremmo realmente potuto o desiderato. Essere genitori vorrebbe dire, insomma, tornare bambini, ma imparando a esserlo meglio.”

In occasione dell’uscita di “Lo capisce anche un bambino” abbiamo intervistato Mattia.

Tu avvocato di professione, ti affacci improvvisamente nel mondo dell’editoria. Com’è stato scrivere questo libro, come ci sei arrivato, cosa ti ha convinto a farlo.

La scrittura è sempre stato il mio strumento privilegiato di espressione, un’urgenza cui non posso sottrarmi e che mi mette in comunicazione con me stesso. Per anni, ho tenuto la scrittura confinata alla mia stanzetta privata, poi l’ho utilizzata timidamente per raccontarmi su Facebook, senza alcuna intenzione ulteriore. Mi accorgevo però che la condivisione in forma narrativa di momenti della straordinaria quotidianità della mia famiglia, il racconto della meraviglia che si cela dietro tanti aspetti apparentemente ordinari, suscitava coinvolgimento ed emozione in chi leggeva. Molte persone mi hanno incoraggiato a scrivere questo libro, un’amica speciale cui sono infinitamente grato – Chiara Gamberale – mi ha spinto a sottoporlo subito a Giangiacomo Feltrinelli Editore, dove è stato abbracciato con immediato entusiasmo e convinzione. Lavorare a questo libro è stato uno dei viaggi più belli mi sia mai capitato di vivere: portarlo tra chi ancora non conosce storie come quella che questo libro racconta ne è l’auspicata destinazione.


Partiamo dal principio, noi due ci conosciamo da una quindicina d’anni. La sera in cui tu e Nicola avete incrociato per la prima volta i vostri sguardi, io c’ero. Com’è nata poi la vostra storia d’amore, come si è evoluta, quando avete capito che avreste voluto diventare genitori.


Tu sei tra i pochi amici che possono affermare di aver assistito al big bang che ha creato, da un momento all’altro, l’universo d’amore in cui il libro è ambientato: è nato lì, in quell’incrocio di sguardi e di storie, tutto il bello e il buono che mi avrebbe riguardato in futuro. Da qualche parte dentro di me, ho capito subito che la relazione con Nicola era quella promessa di amore e famiglia che poi, in effetti, abbiamo mantenuto. Entrambi abbiamo sempre avuto una forte vocazione all’accudimento, alla protezione, alla cura. A un certo punto, ci siamo resi conto in modo del tutto naturale che il nostro amore era talmente solido e forte da non poter fare altro che generare nuovo amore: ancora non lo sapevamo, ma è stato lì che abbiamo iniziato a concepire i nostri figli.


Una volta abbracciato il desiderio di essere famiglia con figli, quali e quanti passaggi avete dovuto affrontare.


Abbiamo iniziato informandoci su quali fossero le modalità possibili affinché due uomini potessero diventare genitori. Con delusione, apprendevamo subito che l’adozione non era una strada percorribile, perché non consentita in Italia alle coppie omoaffettive e perché molto difficile, se non impossibile, da realizzare all’estero. Ci siamo allora informati sulla gestazione per altri, abbiamo ponderato ogni aspetto etico e legale, e abbiamo scoperto che, in Paesi come gli Stati Uniti o il Canada, rappresenta un’esperienza umana ben disciplinata, in modo che tutte le persone coinvolte vi accedano con piena consapevolezza, senza alcuna motivazione economica né forma, anche minima, di condizionamento. Quell’esperienza meravigliosa ci ha regalato legami molto intensi con le amiche che ci hanno aiutato a far nascere i nostri figli: Danielle, che ci ha donato gli ovuli da cui sono nati sia Lorenzo che Martino, e Ashleigh, che ha altruisticamente condotto entrambe le gravidanze per noi. Tali legami sono forti e tuttora perduranti, anche con le loro rispettive famiglie: raccontano una storia bellissima di donne straordinarie e famiglie generose che hanno aiutato un’altra famiglia nel proposito di diventare ancora più grande.

Certa stampa e una parte di politica nostrana raccontano in modo spaventoso la gestazione per altri. Ti sei chiesto come mai. Ignoranza o malafede? Se tu dovessi descrivere la GPA in poche parole, quali utilizzeresti?


La gestazione per altri è semplicemente uno dei modi attraverso cui si può far nascere una nuova vita, laddove non sia possibile che ciò accada nel modo che è più consueto. Se ogni aspetto è puntualmente disciplinato, può scongiurarsi il rischio che un’esperienza umana così delicata sia oggetto di forme, anche implicite, di abuso. Molto spesso non si conoscono a fondo le storie che possono raccontarla nell’esperienza reale e positiva che essa può rappresentare: il mio libro – che pure non è focalizzato su questo tema – vuole fornire un piccolo contributo in tal senso, nell’auspicio possa ciò essere utile a far cadere qualche pregiudizio e a fornire una lettura alternativa a quella ideologica o giornalistica.
Ashleigh, la nostra amica che ci ha aiutato con le gravidanze, è molto irritata, ad esempio, dalla posizione di una certa parte del femminismo che vede nella GPA una forma di sfruttamento del corpo delle donne: ci ricorda sempre, invece, chela GPA è un atto di forte autodeterminazione femminile, un gesto altruista di donne che aiutano altre donne a diventare madri, di donne che aiutano uomini a diventare padri in famiglie che sovvertono ogni modello patriarcale.
Sono molto d’accordo. E non comprendo nemmeno per quale motivo si associ così spesso la GPA all’omogenitorialità, quando in realtà in oltre il novanta per cento dei casi essa riguarda coppie eteroaffettive: intuisco allora che il pregiudizio stia soprattutto nel riconoscere legittimità alle coppie omogenitoriali, piuttosto che nel voler tutelare la dignità della donna che, come detto, è (e deve sempre essere) massimamente protetta.


Che papà sono Mattia e Nicola, e soprattutto, che figli sono Lorenzo e Martino.


Papà Mattia e Papà Nicola sono due genitori come tanti, né migliori né peggiori di altri. Di sicuro – e per fortuna – imperfetti, come tutti. Forse più consapevoli e determinati di alcuni, e certo più liberi di condividere ogni funzione genitoriale seguendo ciascuno le personali attitudini, lontani quindi dall’influenza di modelli culturali imposti, come quello maschilista che vorrebbe le mamme dedite all’accudimento primario dei figli e i papà votati prevalentemente al lavoro.
Lorenzo e Martino sono due bimbi molto curiosi. Lorenzo è assai vivace, Martino è più riflessivo. Entrambi sono molto sereni, portatori – e questo vale per ogni bimba e ogni bimbo – di una storia peculiare che li riguarda ma non li identifica. E poi sono bellissimi: ma ogni scarrafone – si sa – è bello ai papà soje.


Per la legge italiana, per quanto sembri incredibile, Lorenzo e Martino NON sono fratelli così come tu e Nicola NON siete i papà di entrambi. Come provare a spiegare la follia di questa realtà quotidiana, vissuta obbligatoriamente da migliaia di famiglie italiane, alla politica nostrana?


Famiglie come la nostra sono viste da tutte e tutti per quello che evidentemente sono: famiglie. E ciò – almeno nella nostra esperienza e nelle altre che conosciamo – accade in ogni contesto sociale, ad ogni latitudine. Solo la legge assurdamente si ostina ancora a non riconoscere la realtà, creando distorsioni che danneggiano bambini come Lorenzo e Martino, privandoli delle stesse tutele che hanno gli altri. Lorenzo e Martino condividono lo stesso doppio cognome, lo stesso letto a castello, gli stessi papà, gli stessi nonni, le stesse origini: eppure, per la legge italiana, non sono fratelli. Noi non siamo i genitori legali di entrambi. E, attenzione, qui non si tratta di riconoscere un diritto a noi genitori. Si tratta al contrario di riconoscere legalmente il nostro dovere di cura nell’esclusivo interesse dei figli di cui ogni giorno ci prendiamo cura.


In tal senso, partendo dal perfetto titolo che hai dato al tuo libro, i vescovi e la destra italiana continuano a fingere di non capire e a sostenere che si può considerare famiglia solo quella formata da “uomo e donna”, da “babbo e mamma”.  Prima o poi riusciremo ad uscire da questo buco nero che calpesta l’amore?

Credo proprio di sì, ho sempre avuto molta fiducia nelle persone: continuare a ripetere che la società non è pronta è solo un alibi dietro cui si trincera certa politica, una scusa che nasconde una ideologia, distante dalla realtà. Ci sono famiglie e bimbi che esistono e continueranno a esistere indipendentemente da quello che le istituzioni possono teorizzare ignorando la vita vera. Non esiste ragione né elemento scientifico che porti a considerare le persone omoaffettive come genitori inadeguati: è anzi unanimemente acclarato come non sia il genere, ma la qualità dell’accudimento a definire un buon genitore. Due mamme, due papà, una mamma e un papà, un genitore soltanto: non importa la struttura, conta la funzione. Si prende cura del proprio figlio con tutto l’amore possibile? Ecco allora un buon genitore. Ogni bambino lo sa.

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