La Formula1 è uno degli sport elitari che ancora deve lavorare per modernizzarsi in termini di inclusione e apertura alla comunità LGBTQ+. Formata esclusivamente da uomini eterosessuali, a quanto si sa, non abbiamo ancora visto una notizia che parla di un coming out nei box della F1.
Si registra qualche caso isolato in cui piloti e addetti ai lavori hanno mostrato il loro supporto alla comunità LGBTQ+, come quando Sebastian Vettel, pilota di punta della Aston Martin, ha indossato una maglia arcobaleno durante la tappa del Gran Premio in Ungheria.
«Nonostante tutti i suoi progressi, la F1 è ancora in gran parte bianca, maschile ed eterosessuale. Le donne sono di solito in posizioni junior. Lo sport sta cambiando, ma è un processo lento»
Queste sono le parole di Matt Bishop, Chief Communications Officer dell’Aston Martin, apertamente gay. Anche la Formula1, quindi, necessita di portarsi al passo con i tempi. Nonostante i 70,3 milioni di spettatori medi ad ogni Gran Premio, la richiesta di modernizzazione arriva su più fronti, e la federazione sportiva ha bisogno di rispondere.
Ma Matt Bishop è solo uno dei testimoni che hanno parlato con LGBTQNation per ricordare una mina vagante nella storia di questo sport: Mike Beuttler, ad oggi l’unico pilota apertamente gay ad aver gareggiato in Formula1. Apertamente è un po’ un’esagerazione. Beuttler inizia la sua carriera nella Formula1, dopo essersi diplomato dalla Formula2 e dalla Formula3, nel 1971. L’omosessualità, nel Regno Unito, era diventata legale solo pochi anni prima, nel 1967.
Mike Beuttler non ha mai fatto un annuncio pubblico della sua omosessualità, perché l’attenzione dei riflettori avrebbe significato uno stop alla sua carriera. Senza contare che, nonostante tutto, il sesso gay era ancora criminalizzato e poteva avvenire solo “in privato”, quindi non in hotel e nemmeno a casa propria qualora vi fossero altre persone in altre stanze.
Nell’ambiente della F1, l’omosessualità di Mike Beuttler viene definita il segreto di Pulcinella. Era comunque un segreto, ma tutti ne erano a conoscenza, anche se non ne parlavano. Lo sapeva anche la sua famiglia: Martine, sua cognata, ha parlato di come alle corse Mike portava delle volte anche amiche donne, ma nella sua vita ebbe molti fidanzati: «Ho incontrato alcuni dei suoi fidanzati – ce n’era uno, un uomo gloriosamente bello con lunghi capelli biondi, che amavo. Ha vissuto per un po’ con il suo ragazzo in una favolosa casa vicino alla cattedrale di St Paul a Londra. Ci sono andato a cena una sera e ci siamo trovati benissimo. Non c’era elettricità in questa casa enorme e abbiamo cenato a lume di candela. Mike viveva così: a volte aveva pochi soldi, ma si divertiva sempre».
Nonostante il suo nome sia poco ricordato, sia per essere un pioniere LGBTQ+ nella F1 sia per i suoi successi, Mike Beuttler è stato un grande pilota. Ha gareggiato contro leggende come Niki Lauda e Ronnie Peterson e, nelle sue 28 corse totali in carriera, ha raggiunto i primi posti in dieci di queste.
Secondo Matt Bishop, però, il modo in cui la società ancora considerava l’omosessualità nel Regno Unito negli anni Settanta gli andava stretto. Forse è anche per questo che a un certo punto, inaspettatamente, ha lasciato la Formula1 e l’Inghilterra per trasferirsi a Los Angeles. La fine della sua carriera è da incolpare alla crisi petrolifera del 1973, che spinse gli sponsor a tagliare i fondi a molti piloti. Quanto allo spostamento negli Stati Uniti, nessuno conosce davvero il motivo.
Quello che si sa è che oltreoceano passò gli ultimi quattordici anni della sua vita. Si spense nel 1988, a 48 anni, dopo aver combattuto una malattia legata all’AIDS.
Mike Beuttler, anche se spesso dimenticato, rimane una figura importante per la comunità LGBTQ+, che in qualche modo è riuscita a vivere la sua vera identità nonostante una società e uno sport che volevano impedirglielo. A 34 anni dalla sua morte, lo ricordiamo con affetto.
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